giovedì 19 dicembre 2013

C'era una volta lo Spaghetti Western di Sergio Leone (1)


Introduzione

Giovedì 3 gennaio 1929 nasceva, nel segno del capricorno, Sergio Leone. Il 30 aprile 1989, veniva a mancare un mito. Nell’arco di quei sessant’anni cambiò per sempre la storia della settima arte. Sergio Leone rivoluzionò il modo di fare cinema conosciuto sino ad allora, e si inventò un nuovo genere tutto suo: il “western all’italiana”, inseguito e imitato nel corso degli anni ’60 e ’70. Ma ancora oggi qualche setola del barbone bianco di Leone, trasportato dal vento d’occidente, torna a posarsi sulla macchina da presa di qualche cineasta, fino a inciderne la pellicola. Così, l’artiglio di Leone ritorna a graffiare il grande schermo, la sua unica, enorme passione.
                Nel corso di questo intervento, che nasce sostanzialmente da una fanciullesca attrazione verso il genere western e da una smisurata ammirazione per il regista Sergio Leone, ho analizzato il genere degli Spaghetti Western, mettendone in evidenza le peculiarità e le caratteristiche principali. Attraverso le fonti del passato che l’hanno influenzato, sono poi giunto fino all’antica Grecia, al tempo di Omero. E per inquadrare cronologicamente l’era in cui hanno luogo le storie narrate da Leone, mi sono inoltrato nel Far West americano dell’ottocento. Infine, proseguendo fino ai tumultuosi anni ’60, ho cercato di descrivere il Leone “figlio del proprio tempo”, tramite le locandine che hanno celebrato i suoi film.
                Oggi, nell’ottantesimo anniversario della nascita di Sergio Leone e a due decadi dalla sua scomparsa, questo conciso lavoro vuole essere anche un piccolo omaggio al genio artistico del regista, oltre che un breve spunto da cui partire per approfondire le ricerche sulla maestria di Sergio Leone.


«Il cinema dev’essere spettacolo, è questo che il pubblico vuole. E per me lo spettacolo più bello è quello del mito. Il cinema è mito».


Breve biografia di Sergio Leone
«Il tempo è sempre il grande protagonista dei miei film. E’ lui che cambia le cose[1]»

Sergio Leone nasce a Roma il 3 gennaio 1929 da Vincenzo Leone, pioniere del cinema muto italiano, conosciuto con lo pseudonimo di Roberto Roberti, e da Edvige Valcarenghi, attrice di vaglia del tempo e cantante d’opera, nota col nome d’arte di Bice Valerian. Trascorre l’infanzia e la giovinezza nella capitale, dove si laurea in giurisprudenza. Fin dalla più tenera età frequenta assiduamente il magico laboratorio di “Cinecittà”, che contribuirà certamente a ingigantire la sua sfrenata passione per le pellicole cinematografiche. Esordisce nel cinema lavorando come assistente volontario e comparsa, fra l’altro, in “Ladri di biciclette” di Vittorio De Sica nel 1948. Negli anni cinquanta comincia a scrivere sceneggiature per i cosiddetti peplum, film epico-storici molto in voga all’epoca (conosciuti in America anche come “sword and sandals”, letteralmente “spada e sandali”). I primi lavori di un certo rilievo lo vedono come assistente regista o direttore della seconda unità in numerose produzioni hollywoodiane girate negli studi di “Cinecittà”, durante il periodo della cosiddetta “Hollywood sul Tevere”. Durante questo periodo vanta importanti collaborazioni in “Quo Vadis?” di Mervyn Le Roy (1951), “Elena di Troia” di Robert Wise, ma soprattutto nel kolossal di William Wyler “Ben Hur” (1959), vincitore di undici premi Oscar. In seguito è a lungo aiuto regista di Mario Bonnard: nel ’59, essendo quest’ultimo ammalato, Leone lo sostituisce sul set de “Gli ultimi giorni di Pompei”, al quale aveva collaborato alla sceneggiatura, completandone le riprese. Nel 1961 arriva la prima regia ufficiale con il lungometraggio tutto suo, “Il colosso di Rodi”, prodotto con un budget molto modesto.
            Ma sono gli anni sessanta che consacrano definitivamente il mito di Sergio Leone nella storia del cinema. In tre anni, infatti, coperto dallo pseudonimo anglicizzante di Bob Robertson in onore del padre, sforna tre autentici capolavori, che vanno a formare la cosiddetta “Trilogia del dollaro”. Nel 1964 vede la luce “Per un pugno di dollari”, che lo impone all’attenzione generale, seguito immediatamente da “Per qualche dollaro in più” (1965), e “Il buono il brutto il cattivo” (1966). Anche se è necessario dire che la prima opera ricalca in gran parte la trama del film “Yoiimbo” del 1961 (noto in Italia col titolo “La sfida del samurai”) del regista giapponese Akira Kurosawa. Leone, infatti, fu accusato di vero e proprio plagio da Kurosawa, che vinse la causa ottenendo come risarcimento i diritti esclusivi di distribuzione in Giappone, Corea del Sud e Taiwan, e il 15% dello sfruttamento commerciale in tutto il mondo.
Dopo la “Trilogia del dollaro”, Sergio Leone è fermamente intenzionato chiudere col western. Inoltre, nel 1967, s’innamora di un libro, “Mano Armata”, la biografia di Henry “Nord-est” Gres, che racconta i ruggenti anni ’30 del gangsterismo americano. Sarà questo lo spunto da cui partirà per creare il suo capolavoro, “C’era una volta in America”. Tuttavia, esortato dalle major hollywoodiane a percorrere ancora la strada proficua del western, gira “C’era una volta il West”. Mentre prosegue il suo progetto su “C’era una volta in America”, nel 1971 partorisce il suo ultimo western, “Giù la testa”, ambientato durante la rivoluzione messicana di Villa e Zapata.
Finalmente, dopo un una lunga e agognata preparazione, durata ben tredici anni, nel 1984 esce nelle sale “C’era una volta in America”. La parabola artistica di Sergio Leone si conclude il 30 aprile 1989, quando un infarto lo stronca nella sua casa romana, mentre è alle prese con il laborioso progetto d’un film incentrato sull’assedio di Stalingrado durante la Seconda Guerra Mondiale.


Gli Spaghetti Western di Sergio Leone
«Senza gli Spaghetti Western non esisterebbe una buona parte del cinema italiano. E Hollywood non sarebbe la stessa cosa[1]»

DEFINIZIONE
Col termine “Spaghetti western” (detti anche “Western all’italiana”, o in inglese “Italo-Westerns”), si indica una particolare categoria di film western di produzione italiana, girati tra gli anni sessanta e settanta del XX secolo (grosso modo tra il 1963 e il 1978) in Italia, in Spagna, o eccezionalmente in altri paesi del Mediterraneo. Il termine, oltre ad alludere al fatto che tali pellicole furono dirette da registi italiani e prodotte nella penisola, pare che facesse riferimento anche al sangue sparso copiosamente in questi film, che ricordava il sugo sugli spaghetti.
Anche se “Terrore dell’Oklahoma” (1959) di Mario Amendola è ufficialmente il primo “Spaghetti western”, generalmente si è soliti individuare in Sergio Leone il reale fondatore del genere o, per lo meno, colui che lo ha portato al grande successo.

DIFFERENZE RISPETTO AL WESTERN CLASSICO

«Ford era un ottimista. Io sono un pessimista. I personaggi di Ford, quando aprono una finestra, scrutano sempre, alla fine, quest’orizzonte pieno di speranza; mentre i miei, quando aprono la finestra, hanno sempre paura di ricevere una palla in mezzo agli occhi.[2]»

I film del regista romano si discostano molto dai canoni tipici del genere western tradizionale. D’altra parte, sradicato dalla propria terra d’origine, il nuovo western si trovò necessariamente ad esprimere coordinate culturali differenti. In altre parole, l’epopea dei pionieri della frontiera iniziò a essere analizzata da un’ottica esterna, sotto altri punti di vista. In questo modo Leone riuscì a rivestire il genere di una maggiore veridicità, ponendo fine all’idealizzata elegia della frontiera, che veniva dipinta quasi come una sorta di eden dai registi americani, intenzionati ad autocelebrare la fondazione del proprio Paese sotto l’encomiastico segno dell’eroismo. Significativo un commento del regista Gabriele Salvatores: «La cosa geniale di Sergio Leone è che non si è venduto l’anima ed è andato a sfidare il nemico americano a casa sua e ha anche vinto.[3]»
In primo luogo, nei film di Leone non vi è presenza di nativi pellerossa, assai frequenti nei western, per così dire, “all’americana”. A tal proposito Leone ha dichiarato in un’intervista: «Io ho questo pallino del realismo, e non potevo concepire gli indiani finti che venivano utilizzati a Hollywood, [...] se dovessi inserirli in un film, li vorrei autentici, e oggi come oggi è quasi impossibile trovarli[4]».
In secondo luogo, all’eroe anomalo lanciato da Sergio Leone (il cosiddetto “uomo senza nome”) mancano i tratti cavallereschi della tradizione: non combatte per nobili ragioni, le donne gli sono indifferenti e i suoi ideali sono fondamentalmente riassunti nel dollaro. In altre parole la sola differenza che intercorre fra l’eroe “buono” e i suoi nemici risiede nel fatto che l’uomo senza nome risparmia gli innocenti. Nei western tradizionali gli eroi tendono ad essere belli, perfetti e virtuosi, mentre quelli di Sergio Leone appaiono più cinici, raramente sbarbati, sporchi e trasandati. Si presentano in genere come antieroi, astuti, spesso senza scrupoli e dalle personalità complesse. Negli Spaghetti Western, perciò, la classica distinzione fra “buoni” e “cattivi”, così viva nel western americano, viene così a sfumarsi.
Un’altra lampante diversità tra il western all’italiana e quello visto fino al quel momento è sicuramente il maggiore ricorso alla violenza. Nei fotogrammi leoniani le colt sgranano senza sosta il proprio rosario funebre. Il critico cinematografico Tullio Kezich, recensendo la pellicola capostipite del genere (“Per un pugno di dollari”), definì gli Spaghetti Western di Sergio Leone come «qualcosa di eccesivo, che denuncia la mancata appartenenza a un filone originario», caratterizzato da «stragi salgariane, torture sadiche, sangue che imbratta tutto», e segnalò come non vi si riscontri più in esso alcun «legame [...] con i miti della giustizia, della fantasia e della libertà, così vivi nel western classico.[5]» Lo stesso paesaggio contribuisce ad accentuare la veridicità rispetto al far west delle pellicole di John Ford. Gli sfondi scelti da Leone sono lande desertiche e quasi infinite, abitate più da maschere che da personaggi, percorse da un penetrante istinto di morte che nulla conservano dell’ariosità di un tempo.
Infine, le colonne sonore dei primi western hollywoodiani erano per lo più allegre e piacevoli canzoni folk americane. Invece, la musica creata da Ennio Morricone, il compositore degli arrangiamenti di tutte le pellicole del cineasta romano, è decisamente più aggressiva, volta a trasmettere l’asprezza della dura vita di frontiera.
In linea generale, dunque, si può affermare che Leone arricchì il genere western fino allora conosciuto con elementi di crudo realismo e di marcato pessimismo.

SEGNI DISTINTIVI
Termini ed espressioni che hanno caratterizzato gli Spaghetti Western di Sergio Leone.
¬     Trilogia del dollaro  E’ il nome dato al “tris” di lungometraggi firmati dalla regia di Sergio Leone, dalle colonne sonore di Ennio Morricone, e dalle interpretazioni sornione di Clint Eastwood, che segnano ufficialmente l’atto di nascita degli Spaghetti Western. Comprende “Per un pugno di dollari”, “Per qualche dollaro in più”, e “Il Buono, il Brutto, il Cattivo”. Le tre storie in realtà non presentano particolari affinità cronologiche e tematiche; l’unica costante risulta essere l’emblematica figura dell’“Uomo senza nome”. Secondo alcuni critici l’ultima opera della saga sarebbe un prequel, ossia da leggere come un antefatto della trilogia, in quanto il personaggio di Eastwood trova gradualmente gli abiti che indossa negli altri due film.

¬     L’uomo senza nome E’ il protagonista principale della “Trilogia del dollaro”. Infatti, in tutti e tre i film, il nome del personaggio interpretato da Clint Eastwood resta un mistero: in “Per un pugno di dollari” è conosciuto, in modo semplicistico, come Joe; in “Per qualche dollaro in più” è chiamato Il monco (poiché usa per svolgere qualsiasi azione la mano sinistra, lasciando la destra sempre libera per sparare); infine né “Il Buono, il Brutto, il Cattivo” assume come soprannome l’appellativo Il biondo. Incarna un pistolero estremamente abile con le armi da fuoco, forte, astuto, autosufficiente. E’ molto simile al tipico mandriano dei western americani, se non fosse per la sua ambiguità morale. Differentemente dal cowboy originale, infatti, l’“Uomo senza nome” gioca sporco spesso e volentieri, e non ci pensa due volte a sparare per primo, se questo soddisfa il suo personale senso della giustizia. Nelle tre opere egli presenta i medesimi atteggiamenti, calmi e sbrigativi, e indossa sempre lo stesso poncho sporco e impolverato. Di solito viene dipinto come un outsider, ossia un emarginato, spesso addirittura un fuorilegge. Caratteristicamente è bravo con le parole, utili per i suoi fini; ma parla solo se strettamente necessario. In pratica è un uomo di poche parole, ma ad effetto, che preferisce di certo i fatti alle chiacchiere. Il protagonista creato da Leone, inoltre, si discosta molto dagli eroi virtuosi dei primi western, che presentavano tratti cavallereschi. L’“Uomo senza nome” è sostanzialmente un antieroe, la cui massima ambizione è sempre il denaro, che si differenzia dall’antagonista solo perché, nella maggior parte dei casi, egli risparmia gli innocenti. Infine alcuni critici vedono in lui una maschera con chiari connotati politici, perché la sua azione ha come il sapore della lotta di classe. In effetti, è un personaggio che viene dal nulla e va nel nulla, cercando di opporsi continuamente al potere.

¬     Bob Robertson    Dopo la realizzazione del primo western, Leone temeva che il pubblico americano mai avrebbe accettato di guadare un film western girato in Italia e da un regista italiano semisconosciuto, dato che gli americani erano i massimi esponenti del genere. Perciò decise di firmarsi con lo pseudonimo anglicizzante Bob Robertson, in omaggio al padre Roberto Roberti. E così fece anche l’intera troupe che aveva lavorato al progetto. Per esempio Ennio Morricone divenne “Don Savio”, mentre Gianmaria Volontè si trasformò in “John Wells”.

¬     Il triello Rappresenta il memorabile duello (combattuto però da tre persone) con cui termina “Il Buono, il Brutto, il Cattivo”. A sfidarsi sono proprio Il biondo (ossia “il buono”, impersonato da Clint Eastwood), Sentenza (cioè “il cattivo”, il personaggio di Lee Van Cleef) e Tuco (ovvero “il cattivo”, interpretato da Eli Wallach). I tre ingaggiano il duello all’interno di un cimitero, dove è presente la tomba sotto di cui giace nascosto un ricco bottino. Ognuno ha bisogno delle preziose informazioni degli altri due, ma nessuno è disposto a cedere e dividere il malloppo di dollari. La sequenza, che dura ben sette minuti, è un climax incalzante, scandito dalla musica aggressiva di Morricone e da un mexican standoff che ha fatto scuola. Sergio Leone esalta la scena con una fotografia sempre nuova, con primissimi piani inquietanti, con le riprese degli occhi socchiusi e con un montaggio sempre più veloce.

¬     Mexican standoff   Detto anche mexican standout, è un termine dello slang americano che indica una situazione nella quale due o più (solitamente tre) persone si tengono sotto tiro a vicenda con delle armi, in modo che nessuno possa attaccare il suo opponente senza essere a sua volta attaccato.
L'origine di questa espressione è incerta, ma può essere collegata alla difficile e paradossale condizione sociale ed economica del Messico del XIX secolo.
Il mexican standoff è ora considerato un cliché cinematografico grazie al suo grande uso negli Spaghetti Western (il più celebre della storia del cinema è probabilmente il "triello" finale di Il buono, il brutto, il cattivo). È stato ripreso e reso celebre da registi come Quentin Tarantino e John Woo, e successivamente Robert Rodriguez.




IL REGISTA SERGIO LEONE

«Dalla scomparsa di Sergio Leone la cosa più importante di cui si sente la mancanza nel cinema italiano è il pensare in grande[6]. »

Già fin dalle prime opere, in particolar modo nei kolossal, Leone rivelava una stupefacente abilità tecnica nel girare scene di battaglia e scene di massa, oltre che uno spiccato gusto per lo spettacolo. Tuttavia, è con i film western che Leone dimostra tutta la sua stupefacente maestria artistica, rivoluzionando non solo un genere cinematografico, ma il modo di concepire la settima arte fino allora conosciuto. Leone introdusse, infatti, delle rilevanti novità nel linguaggio cinematografico, quali l’utilizzo della ripresa in soggettiva e l’alternanza nel montaggio di sequenze con campi molto lunghi e brevi flash di primissimi piani. Inoltre fu uno dei primi registi a cogliere davvero il potere del silenzio, grazie a scene giocate su situazioni di attesa e di grande suspense.
Altri segni distintivi del suo stile sono la calma che pervade tutti i film, la fotografia lenta, le rapide zoomate verso gli occhi socchiusi dei personaggi. Con l’ausilio di un montaggio nervoso, che alterna ellissi a improvvise accelerazioni, ieraticità del gesto ed evidenziazione dei dettagli, il regista romano crea un linguaggio cinematografico del tutto inedito. «Leone indica una convincente via al western autarchico lungo i sentieri di una narrazione barocca e survoltata, roboante ed iperviolenta[7]».
Un ulteriore merito di Leone risiede nel fatto di aver lanciato nel firmamento delle star del grande schermo attori formidabili: primo su tutti Clint Eastwood (che prima di incontrare Leone era pressoché sconosciuto); ma poi Lee Van Cleef, Eli Wallach e il nostrano Gianmaria Volontè.


LE MUSICHE DI ENNIO MORRICONE

«Ho detto, e lo ripeto, che Morricone è il miglior sceneggiatore dei miei film. Non potrei mai andare sul set se non avessi già a disposizione la musica di Ennio[8]»

Senza il contributo sonoro del grande compositore Ennio Morricone (Roma, 1928), gli Spaghetti Western di Sergio Leone non avrebbero ottenuto quella popolarità e quel successo che ancora oggi si portano dietro. Tutti i film del regista romano, infatti, si avvalsero delle notevoli colonne sonore di Morricone, «ove, magnificamente, s’ibrida musica sacra e sonorità jazzistiche[9]». Le musiche di Morricone non fruirono più da semplice sottofondo sonoro del film, ma divennero componenti fondamentali di esso, esattamente alla pari dei dialoghi. Morricone fu in grado di inventare uno stile originalissimo, basato su un particolare uso della voce umana, su insoliti accostamenti di strumenti, su ritmi aggressivi ed incalzanti, e suoni quasi sperimentali. Colto e raffinato, infatti, si avvalse in maniera irresistibile nell’arte del pastiche, dimostrando di essere uno degli artisti che meglio hanno saputo adattare il linguaggio dei suoni a quello delle immagini. Egli, mescolando i più diversi generi - dal jazz alla musica classica, dal rock all’elettronica - divenne uno dei compositori più ambiti e ricercati dai cineasti di tutto il mondo. Ma la fama e la celebrità arrivarono proprio grazie alle indimenticabili ballate degli Spaghetti Western di Sergio Leone. D’altre parte, pare che lo stesso Leone non potesse proprio fare a meno degli arrangiamenti di Morricone, come testimonia questo estratto di un’intervista al regista: «La musica aiutava (gli attori) a entrare nei personaggi e nell’atmosfera del film. Ogni tema musicale, infatti, rappresenta un personaggio e Morricone, dopo che gli ho raccontato la storia del film, riesce a coglierne perfettamente lo spirito, le caratteristiche.[10]»


INFLUENZE E MODELLI

«Non si può pensare ad un western senza fare riferimento ai classici[11]»

Anzitutto è evidente che alla base degli Spaghetti Western di Sergio Leone trovino posto i western classici, come quelli di John Ford e Howard Hawks, i due maggiori esponenti del western tradizionale. Sono le stesse parole di Leone a confermarlo. In un’intervista, alla domanda “il suo rapporto con John Ford?”, Leone rispose: «Una grande, sconfinata ammirazione, pur nella radicale diversità di prospettive che ci contraddistingue». E poi prosegue dicendo: «La sua foto con dedica (“To Sergio Leone with admiration”) è uno dei miei ricordi più cari e il mio massimo motivo d’orgoglio.[12]»
Tuttavia, sono numerosi altri riferimenti e citazioni “colte” rintracciabili nelle opere di Sergio Leone. Ad esempio in “Per un pugno di dollari”, l’atteggiamento ambiguo e utilitaristico di Joe (il pistolero senza nome interpretato magistralmente da Clint Eastwood) richiama, secondo alcuni critici, il comportamento assunto da Arlecchino nella commedia teatrale di Carlo Goldoni “Arlecchino servitore di due padroni”. Il personaggio di Clint Eastwood si trova tra due cosche rivali e, servendo ora l’una ora l’altra, non fa altro che affrettare la distruzione di entrambe. Proprio come avviene nella commedia goldoniana, in cui Arlecchino (o Truffaldino, come appare nella prima versione dell’opera) si diverte a ingannare Beatrice e Florindo, ovvero i due padroni di cui è servo. La situazione intermedia in cui si vengono a trovare sia Joe che Arlecchino deriva a sua volta da uno schema tipico della commedia classica latina di Plauto e Terenzio. Queste due citazioni colte rivelano già il ricco e profondo background culturale di Sergio Leone.
Il pistolero senza nome può anche essere definito un personaggio chapliniano, in quanto presenta notevoli affinità con Charlot, il “burattino” nato dal genio creativo di Charlie Chaplin. E’ lo stesso Leone a testimoniarlo in un’intervista: «Il pistolero senza nome mette in crisi il potere, proprio come faceva Charlot [...]. Chaplin è per me il massimo genio dell’arte cinematografica, e se non ci fosse stato lui, molti di noi oggi farebbero un altro mestiere[13]
Inoltre, Leone stesso rivela che alcune sequenze de “Il buono il brutto il cattivo” (l’opera che conchiude la “Trilogia del dollaro”, ambientata sullo sfondo della Guerra di Secessione americana) gli sono state ispirate dalle pagine di “Un anno sull’altopiano” di Emilio Lussu.
Le avventurose peripezie del Buono, del Brutto e del Cattivo, in aggiunta, rimandano chiaramente alla letteratura picaresca; in particolare il Brutto, ovvero Tuco, il ghignante messicano impersonato de Eli Wallach rappresenta, in fondo, il tipico fool shakespeariano.
Ma certamente i riferimenti più affascinanti, perché apparentemente molto distanti tra loro, sono quelli riguardanti l’epica e la tragedia della Grecia antica.


[1] <http://www.wikipedia.it>
[2] Ivi.
[3] Tratta dall’intervista a Gabriele Salvatores su Sergio Leone contenuta nella versione video rimasterizzata in DVD di “Per qualche dollaro in più”,contenuti extra . (“Per qualche dollaro in più”, 1965 P.E.A.,CVC)
[4] http://www.carmillaonline.com.>
[5] <http://www.italica.rai.it/>
[6]  Tratta dall’intervista a Giuseppe Tornatore su Sergio Leone contenuta nella versione video rimasterizzata in DVD di “Per qualche dollaro in più”,contenuti extra . (“Per qualche dollaro in più”, 1965 P.E.A.,CVC)
[7] Cfr. nota 5
[8] Cfr. nota 1.
[9] Cfr. nota 5.
[10] Cfr. nota 1.
[11] Cfr. nota 1
[12] Ivi.
[13] ivi



[1] <http://www.carmillaonline.com>




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