Racconto breve liberamente
ispirato al servizio di un telegiornale
Il primo giorno nella nuova scuola tutti ci hanno battuto le
mani - un lungo e fragoroso applauso da parte delle maestre, del dirigente, del
personale e degli altri bambini. Appena si è aperta la porta e siamo entrati
nell’androne dell’istituto io e mio fratello siamo rimasti confusi; ci siamo
guardati negli occhi più volte, in mezzo a quella calorosa e inaspettata
accoglienza, tra palloncini gialli e blu, fogli bianchi sventolanti e bandiere
arcobaleno. Perché ci hanno applaudito così intensamente? Quale sarebbe il
nostro merito?
Siamo da pochi giorni in Italia, un paese che sentivamo ogni
tanto pronunciare dai nostri genitori o dai loro amici, quando parlavano di
qualche parente che qui era venuto per lavorare oppure in vacanza. Dell’Italia
venivano lodate le bellezze artistiche: statue, quadri, musei ma anche il buon
cibo e il vino, i paesaggi incantevoli e l’ospitalità delle persone di questo
paese europeo, dalla bizzarra forma di stivale, che sembra disteso nel mare
mediterraneo. Il nostro papà era persino diventato tifoso della squadra di
calcio Milan, dopo che Andry Shevchenko era stato acquistato da quel club della
serie A italiana.
Chissà se sta bene papà... ormai sono otto giorni che non lo
vediamo. L’abbiamo abbracciato e poi siamo saliti sul treno, continuando a
salutarlo con la mano dal finestrino mentre il convoglio partiva. La mamma
piangeva e ci baciava. Noi guardavamo la neve che si posava sui rami spogli,
sulle automobili in coda e sulle macerie dei primi palazzi distrutti.
Abbiamo sentito che è scoppiata la guerra contro i russi,
anche se le mamma non ha mai usato quella parola, che finora io avevo letto
solo sui libri di storia. Contro i russi, poi? Nostra zia è russa, come il mio
ormai ex maestro di scienze, da cui ho imparato quasi tutto sul disastro
nucleare di Chernobyl. Chissà come sarà adesso il mio nuovo maestro di
scienze... Chissà se ha mai visitato l’Ucraina. Mi mancano i miei ormai ex
compagni di scuola: Olga, Sofia, Anastasia, Roman, Petro... Chissà dove sono,
cosa fanno, se hanno preso il treno anche loro. Magari qualcuno è venuto in
Italia!
I nuovi compagni sembrano gentili e simpatici, ma non
parlano la nostra lingua. Tutti qui in verità sono particolarmente cordiali nei
nostri confronti: da quando siamo arrivati ci chiedono spesso se stiamo bene,
se abbiamo bisogno di aiuto, se vogliamo mangiare o bere qualcosa di caldo. A
dire il vero qui in Italia il clima è meno freddo rispetto all’Ucraina. Non c’è
nemmeno la neve...
Continuo a non capire perché siamo stati costretti a dividerci,
a lasciare la nostra casa e a cambiare di colpo vita. E come noi migliaia di
altre famiglie ucraine. Anche se mi sforzo proprio non riesco a capire perché i
russi siano entrati in Ucraina coi carri armati. Mamma ci ha spiegato i piani
militari di Putin, dell’annessione della Crimea, degli indipendentisti del
Donbass, della resistenza del Presidente Zelensky. Anche mio fratello Ivan mi
ha parlato della NATO e della Guerra Fredda, delle repubbliche sovietiche e
delle forniture di gas o petrolio. Tutte questioni che conosco anche io, ma che
comunque secondo me non riescono a giustificare davvero quello che abbiamo vissuto,
visto e sentito: bombe lanciate sugli ospedali, bambini e anziani uccisi,
milioni di persone che hanno abbandonato le loro città per cercare un rifugio.
Ma dopotutto io sono solo una bambina di undici anni - forse
un adulto riuscirà un giorno a farmi capire.
Adesso torno da mamma e Ivan, perché proviamo a
videochiamare papà, visto che ci manca tanto. Spero che torni presto con noi è
che la guerra finisca subito.
Iola
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