martedì 22 marzo 2022

Diario di pace


Racconto breve liberamente ispirato al servizio di un telegiornale

 

 

Il primo giorno nella nuova scuola tutti ci hanno battuto le mani - un lungo e fragoroso applauso da parte delle maestre, del dirigente, del personale e degli altri bambini. Appena si è aperta la porta e siamo entrati nell’androne dell’istituto io e mio fratello siamo rimasti confusi; ci siamo guardati negli occhi più volte, in mezzo a quella calorosa e inaspettata accoglienza, tra palloncini gialli e blu, fogli bianchi sventolanti e bandiere arcobaleno. Perché ci hanno applaudito così intensamente? Quale sarebbe il nostro merito?

 

Siamo da pochi giorni in Italia, un paese che sentivamo ogni tanto pronunciare dai nostri genitori o dai loro amici, quando parlavano di qualche parente che qui era venuto per lavorare oppure in vacanza. Dell’Italia venivano lodate le bellezze artistiche: statue, quadri, musei ma anche il buon cibo e il vino, i paesaggi incantevoli e l’ospitalità delle persone di questo paese europeo, dalla bizzarra forma di stivale, che sembra disteso nel mare mediterraneo. Il nostro papà era persino diventato tifoso della squadra di calcio Milan, dopo che Andry Shevchenko era stato acquistato da quel club della serie A italiana.

 

Chissà se sta bene papà... ormai sono otto giorni che non lo vediamo. L’abbiamo abbracciato e poi siamo saliti sul treno, continuando a salutarlo con la mano dal finestrino mentre il convoglio partiva. La mamma piangeva e ci baciava. Noi guardavamo la neve che si posava sui rami spogli, sulle automobili in coda e sulle macerie dei primi palazzi distrutti.

 

Abbiamo sentito che è scoppiata la guerra contro i russi, anche se le mamma non ha mai usato quella parola, che finora io avevo letto solo sui libri di storia. Contro i russi, poi? Nostra zia è russa, come il mio ormai ex maestro di scienze, da cui ho imparato quasi tutto sul disastro nucleare di Chernobyl. Chissà come sarà adesso il mio nuovo maestro di scienze... Chissà se ha mai visitato l’Ucraina. Mi mancano i miei ormai ex compagni di scuola: Olga, Sofia, Anastasia, Roman, Petro... Chissà dove sono, cosa fanno, se hanno preso il treno anche loro. Magari qualcuno è venuto in Italia!

 

I nuovi compagni sembrano gentili e simpatici, ma non parlano la nostra lingua. Tutti qui in verità sono particolarmente cordiali nei nostri confronti: da quando siamo arrivati ci chiedono spesso se stiamo bene, se abbiamo bisogno di aiuto, se vogliamo mangiare o bere qualcosa di caldo. A dire il vero qui in Italia il clima è meno freddo rispetto all’Ucraina. Non c’è nemmeno la neve...

 

Continuo a non capire perché siamo stati costretti a dividerci, a lasciare la nostra casa e a cambiare di colpo vita. E come noi migliaia di altre famiglie ucraine. Anche se mi sforzo proprio non riesco a capire perché i russi siano entrati in Ucraina coi carri armati. Mamma ci ha spiegato i piani militari di Putin, dell’annessione della Crimea, degli indipendentisti del Donbass, della resistenza del Presidente Zelensky. Anche mio fratello Ivan mi ha parlato della NATO e della Guerra Fredda, delle repubbliche sovietiche e delle forniture di gas o petrolio. Tutte questioni che conosco anche io, ma che comunque secondo me non riescono a giustificare davvero quello che abbiamo vissuto, visto e sentito: bombe lanciate sugli ospedali, bambini e anziani uccisi, milioni di persone che hanno abbandonato le loro città per cercare un rifugio.

Ma dopotutto io sono solo una bambina di undici anni - forse un adulto riuscirà un giorno a farmi capire.

 

Adesso torno da mamma e Ivan, perché proviamo a videochiamare papà, visto che ci manca tanto. Spero che torni presto con noi è che la guerra finisca subito.

 

Iola

 


Fabio Dellavalle                                                                                                                                               

15/03/2022 

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