Chissà
se sottoterra si
ode
la neve che
cade.
Deve pur fare un
rumore,
quando i fiocchi
toccano suolo.
Chissà se
disturba le bestie in letargo
tra le radici
affamate.
Ai vecchi stanati nella buia taverna
la neve non
sembra dar troppo fastidio.
Soltanto
Luigino, ogni giro di mano,
stacca un
cristone;
gli fa subito
seguito Chino
con peto da gran
bevitore.
L’oste sonnecchia
e un po’ marca i punti;
Rita, sua bella
creatura,
guarda là fuori
il vetro appannato –
al borbottar
degli alticci sorride di lato.
Rita è ben alta
di fianco alle figlie
del gobbo paese,
ma dopo è di
modi più fini
e tanto più
giovane suona la lingua.
Gli anni suoi
ora contar non s’addice
sappiamo che
contano: è da maritare.
Le guance di
fragola, dentro alle mani
di pietra, danno
alla neve un colore;
gli zigomi
rotti, di rapa dei vecchi
rumano forte ad
ogni giocata,
mischiandosi al
vetro del vino novello.
E’ un attimo e
il campanile
batte due colpi:
Gino bestemmia
Chino scoreggia;
l’oste sbadiglia
e segna ventuno.
Rita sospira e
cerca la luna,
e pare che
ascolti ogni fiocco che cala.
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