[Un tema dalla terza media: sviluppa liberamente il seguente incipit]
Seduto sul
muricciolo, con la schiena rivolta verso il vento, un uomo mangiava un grosso
pezzo di pane, affettandoci sopra una striscia di carne affumicata... Aveva
accanto una bottiglia di vino, a cui ricorreva spesso, ma per brevi sorsi,
quasi non volesse che quel prezioso succo d’uva finisse, forse la sua unica
ragione di vita. Dopo l’ultimo sorso si accese una sigaretta, afferrò la sua
canna da pesca la sua chitarra e si alzò in piedi. Fece dei piccoli passi e
cominciò a camminare verso chissà che cosa, verso chissà quale meta e, piano
piano, la sua sagoma scura sparì davanti al sole.
Siamo da qualche
parte in Brasile, dove musicisti e artisti di strada si guadagnano da vivere
con le loro originali esibizioni. Tra questi ‘sbandati’, come il resto della
società civile è solito chiamarli, c’è anche lui, Salvador, un uomo né giovane
né vecchio, ma tale da poter essere definito saggio. Ha i capelli argento,
raccolti in una coda. Una leggera barba gli ricopre il viso stanco, ma felice,
da cui brillano due occhietti che hanno visto tanto- città e paesi diversi,
persone e culture altrettanto diverse. Questo è Salvador, un adulto che non ha
conosciuto l’infanzia - distrutta da un padre alcolizzato e da una madre
costretta a vendersi in strada- e che perciò vive avvolto da un’ingenua aurea
fanciullesca. Tuttavia
Salvador non parla delle sue sciagure, forse non ha mai confessato direttamente
a nessuno il suo passato triste e violento. Salvador preferisce cantare le
proprie storie, inventando vicende e personaggi che raccontano anche un po’
della sua girovaga esistenza. Con la chitarra riesce a trasmettere profonde e
sincere emozioni, narrando avventure immaginarie- che, in fondo, così tanto
immaginarie non sono. In questo modo ipnotizza grandi e piccini, che lo
ripagano con qualche misera monetina- che poi tanto misera non è…
Una fresca sera
di settembre Salvador stava suonando in una piazzola, quando ad un tratto due
signori eleganti con in mano una valigetta si intromisero nella folla e
interruppero bruscamente Salvador.
“Se vuoi
cambiare vita - intonarono - seguici dietro quell’angolo. Siamo rappresentanti
della nota casa discografica “SoUnD” di San Francisco; andiamo in giro per le
americhe a scoprire nuovi talenti”.
Intanto uno dei due mise una mano in tasca e fece spuntare due bei bigliettoni
verdi. Salvador, che
fino a quel punto li aveva ignorati, alzò di scatto le pupille, abbagliate da
quei soldi.
“Noi ti faremo
scalare tutte le classifiche del mondo, fino a farti guadagnare di quel tanto
da comprarti una macchina al mese!”- proseguì sempre il solito manager. “Ti
aspettiamo in macchina; pensaci e, quando avrai deciso, raggiungici” –
sentenziò quello che non aveva ancora mai aperto bocca. Salvador si
bloccò, con le mani congelate sul manico dello strumento, con lo sguardo fisso
nel vuoto e una ciocca di capelli che ricadeva sulla fronte ampia e segnata dal
tempo. Probabilmente nella sua testa passavano ininterrottamente – come una
sequenza cinematografica – immagini della sua infanzia, della sua condizione
attuale e, attraverso una sorta di presagio, anche il suo futuro. Rimase
immobile per alcuni minuti, mentre intorno a lui la gente lentamente si
allontanava, perdendosi tra le strade afose della città. Poi si alzò, prese la
canna da pesca con la mano destra, la chitarra con la sinistra. Guardò in alto
nel cielo, quasi per dire a sua madre: “Scusa…”. Fece dei piccoli passi fino a
raggiungere l’angolo indicato dai due colletti bianchi. Sulla sinistra si
apriva un piccolo sentiero impolverato che conduceva chissà dove, sulla destra
ecco parcheggiata la macchina, lunghissima e lucidissima. Si parò davanti al
musone nero e aggressivo dell’auto, che pareva ringhiasse, e fece un cenno ai
due, quasi per dire: “Grazie lo stesso…”. Si voltò a imboccò il sentiero, proseguendo
la sua vita, mentre tutto il mondo intorno a lui correva, pieno di luci e di
rumori dissonati, quando la sua sagoma nera sparì davanti al sole.
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