È da un po’ di anni
a questa parte che si è consolidata la consuetudine di avere un animale
domestico da compagnia. Ossia una bestiola, presumibilmente fedele nei
confronti del suo padrone, da tenere in casa o in giardino. Compito del padrone
è dimostrarsi severo e affettuoso al punto giusto, ponderando premi e
punizioni, in modo da addestrare il pet
(come lo chiamano gli inglesi) in maniera adeguata. Anche se, purtroppo, il
destino di alcuni di questi amici dell’uomo è, dopo essere stati abbandonati
sul ciglio delle autostrade o condannati al randagismo, di morire come mosche.
Ora, c’è chi possiede un cagnolino/one, chi un micio, chi un criceto, chi
un coniglietto, chi delle tartarughe, chi i pesci rossi. Tuttavia, nel mondo in
cui viviamo, bombardato continuamente da nuove mode e tendenze, tra cui quella
dell’esotismo, non è raro incontrare persone che allevino un’iguana che gira
tranquillamente in salotto, serpenti velenosi sulla mensola della cameretta,
ragni pelosissimi di fianco al cuscino. D’altronde, è la democrazia. Eppure, mai nessuno aveva ancora osato
avere come fiera da compagnia una mosca. Tale è l’inconsueta scelta di un
normale avvocato sulla cinquantina, il Signor Eugenio Ditterio.
Il Signor Ditterio tutti i giorni,
con tanto di guinzaglio e collarino, portava a spasso il suo personale insetto,
che aveva chiamato Aralda. Alle 16 in punto inaugurava la passeggiata per i
marciapiedi della città, con quell’aria fiera e baldanzosa. Il Signor Ditterio è
un ometto basso ma largo, con una pancia tonda come un’anguria. La testa somiglia
a una biglia liscia e lucida; tra le guance costantemente scarlatte compare un
nasino da maialino, su cui s’appoggiano un paio di lenti rotonde che riparano
due occhietti scuri e sottili. A completamento di quella faccia a forma di luna
piena spuntano due baffoni neri arricciati all’insù i quali, insieme alla mosca
sotto il labbro inferiore, formano una specie di pizzetto, comunque ben curato.
Quando il Signor Ditterio usciva dalla porta della sua nobile dimora,
situata nel centro urbano, eseguiva sempre i medesimi gesti, che oramai noi del
posto conoscevamo a memoria. Dapprima dava un’occhiata al cielo per capacitarsi
delle condizioni atmosferiche; in seguito indossava la sua bombetta marrone; dopodiché
gettava lo sguardo sull’orologio da polso; portava poi fuori dall’androne il
guinzaglio con Aralda; infine si voltava di schiena per chiudere le serrature
dell’uscio. Tutti i santi giorni la stessa collaudata cerimonia.
Dopo aver sceso i quattro gradini di marmo che ornano l’entrata del
palazzo, il Signor Ditterio e la fida Aralda incominciavano la loro quotidiana
passeggiata delle ore 16 spaccate. Non appena svoltavano l’angolo della via in
cui risiedevano, l’avvocato attaccava a fischiettare, come un usignolo un po’
obeso – ogni dì una melodia diversa, sicché si pensa che sia un buon
intenditore di musica. Era solito procedere con il busto sbilanciato
all’indietro e, ogni volta che Aralda sentiva il bisogno di fermarsi un
momento, anche il Signor Ditterio si bloccava, in attesa di un impercettibile
segnale dell’insetto che lo invitasse a riprendere la marcia. I più attenti del
quartiere sostengono che sul collarino della mosca sia inciso il nome
dell’insetto oltre che il numero civico dell’abitazione, evidentemente come
riferimento in caso di smarrimento. Alle 16,30 eccoli entrare puntualmente nel
Caffè da Chicco, dove consumavano rispettivamente un cappuccino macchiato
tiepido e tre gocce di acqua-letamata, la specialità della casa. Dopo la breve
sosta i due ripartivano per rincasare: esattamente alle 17,30 tornavano tra le
mura domestiche.
Durante le loro tranquille camminate pomeridiane, il Signor Ditterio e la
mosca Aralda non erano disturbati da nessuno, giacché oramai i loro
concittadini erano avvezzi a tale stravaganza, vale a dire un uomo che porta in
giro una mosca col guinzaglio. Soltanto i ragazzini delle scuole, gli unici
ancora incuriositi da un evento così bizzarro, si divertivano a seguire il loro
abituale percorso, nascosti nei cespugli o dietro alle automobili parcheggiate.
Pure per quei pochi turisti che si trovavano per caso in città un uovo gigante
in panciotto, che si faceva guidare da un insetto col cinturino, era davvero
una scena fuori dal comune, una specie di attrazione gratuita.
Chicco del Caffè da Chicco, si sa,
sa tutto di tutti. Dal suo bancone vintage di vetro ci sta narrando che la
prima donna delle pulizie del Signor Ditterio era andata a spifferare a
chiunque incontrasse che, all’interno di una delle innumerevoli sale della
reggia, ce n’era una interamente dedicata al minuto volatile, con tanto di due
ciotole (una per il cibo e l’altra per le bevande), un collarino e un
guinzaglio di ricambio, una copertina in seta donata da una ricca prozia
deceduta e addirittura una cuccetta in bronzo fatta costruire dal più abile
artigiano della provincia.
- ...E poi com’è
che è stata licenziata questa donna delle pulizie? - chiede Alz lo smemorato al
nostro barista di fiducia.
- Ma te
l’abbiamo già detto quarantasei volte! - inveisce adirato Mitra il mite.
A questo punto
interviene Svizzera a placare gli animi già riscaldati dallo spirito dell’acqua
tonica corretta:
- Su Chicco,
raccontacela di nuovo! -
Così Chicco
riattacca con la storia per l’ennesima volta e noi stiamo ad ascoltarlo
divertiti e compiaciuti.
Girano, infatti, molte leggende più
o meno veritiere su questa losca faccenda. La più avvincente è la versione
secondo cui tale inserviente sia stata congedata dal Signor Ditterio dopo che,
durante un assolato post pranzo di agosto, aveva tentato inconsciamente di
schiacciare con le mani Aralda, la quale svolazzava tra i lampadari di
cristallo della sala per gli ospiti abbastanza rumorosamente da disturbare
l’innocuo pisolino che la domestica cercava invano di schiacciare. Al violento
schiocco di palmi, il Signor Ditterio si alzò di scatto dal suo sofà imperiale
e vide con estremo dolore che, sul tappeto siriano, stava agonizzando inerme il
suo docile animaletto, il quale con l’unica ala rimasta integra invocava
disperatamente aiuto.
Preso dallo sgomento, il Signor Ditterio si gettò tra le zampine della
bestia e, straripante di lacrime, comandò repentinamente alla domestica di
telefonare alle seguenti istituzioni nel seguente ordine: pronto soccorso,
guardia medica, veterinario, carabinieri, polizia, pompieri, protezione civile,
gli alpini, squadra artificieri, unità mobile antimafia, Vespa Club e il
M.L.N.N.G. (Movimento di Liberazione Nazionale Nani da Giardino). L’inserviente,
anch’essa in preda al panico e tanto spaventata quanto imbarazzata per
l’incidente da lei stessa causato, chiamò in fretta e furia tutti quei numeri
di telefono. Fatto sta che in quattro e quattr’otto il salone per gli ospiti
era pieno imballato di divise e uniformi sgargianti e pluridecorate, tanto che
un vecchio alpino dalle coronarie già fragili svenne per la mancanza di
ossigeno.
Ogni rappresentante delle varie forze militari, paramilitari e non, tentò
dunque con ogni sua forza di rianimare la dolce Aralda, che continuava a
giacere a terra tra le dita sudaticce del Signor Ditterio, intento a fare aria
con la bombetta marrone. Un volontario del pronto soccorso constatò la frattura
scomposta di un’ala mentre un membro della guardia medica decretava già il
decesso avvenuto. Intanto che un poliziotto componeva il numero delle pompe
funebri, un pompiere si stese sul tappeto e avviò la respirazione a bocca a bocca
con la mosca rantolante.
All’improvviso un carabiniere, presumibilmente non in forma smagliante
data la cera verdastra del volto, mise in moto il suo deretano e lasciò partire
una sonora scoreggia stratosferica che rimbombò tra le pareti in carta da parati
per almeno sette secondi, come dichiarò successivamente l’ammiraglio del
M.L.N.N.G. il quale, esterrefatto da cotanta potenza, aveva azionato il suo preciso
cronometro. Gli artificieri indossarono immediatamente le maschere antigas e,
con sofisticatissimi apparecchi, registrarono il livello di radioattività
concentratosi nella zona ormai contaminata. Nel frattempo un geologo, confluito
chissà come nell’unità mobile antimafia, lanciò l’allarme sismico da codice
rosso, cosicché le forze dell’ordine si allarmarono e misero la stanza in
totale disordine. A causa di tutto quel trambusto l’alpino svenuto si riprese
ma, sfortunatamente, il turbine puzzolente lo investì con tutto il suo fetore
facendolo ricadere, questa volta, in uno stato di coma profondo.
Di colpo il miracolo assolutamente inaspettato: la donna delle pulizie
decise di spalancare le finestre per salvare il salvabile; l’aria di fuori,
mescolandosi con l’uragano del carabiniere, creò una corrente interna che si
diresse verso il tappeto siriano. Le punte dei baffoni del Signor Ditterio si
abbassarono sconsolate e, in breve tempo, assunsero una colorazione ocra. Ma,
appena il maleodorante vortice penetrò nella minuscola proboscide della mosca, a
un tratto il soffio della vita alitò nuovamente nell’esile corpicino, il quale
riprese conoscenza tra la commozione indescrivibile dei presenti. Tutti, tranne
l’abbattuta penna nera, commentarono il prodigio con un fragoroso applauso
corale. Adesso il Signor Ditterio piangeva, però, di gioia e continuava a
sbaciucchiare la peluria facciale della sua Aralda, ripetendo in continuazione:
«Non voglio perderti mai più, non voglio perderti!».
Qualche giorno dopo il sinistro,
mentre proseguiva la lenta convalescenza della bestiola, il Signor Ditterio
avviò una serie d’indagini serrate per capire che cosa fosse realmente successo
quel mostruoso pomeriggio di terrore, dal momento che la domestica si
dimostrava reticente e si proclamava estranea al misfatto (probabilmente per
paura di perdere il lavoro). Nel frattempo, la notizia finì su ogni quotidiano e
fece il giro di tutti i TG nazionali e internazionali, tanto che la tranquilla
cittadina fu invasa da sciami di troupe giornalistiche che, coi loro furgoni,
intasarono ogni angolo di strada.
Di lì a poco furono organizzate delle vere e proprie “gite dell’orrore”,
cioè escursioni guidate sul luogo del delitto che attirarono decine di migliaia
di persone. Vista l’inaspettata ondata di “turisti della tragedia”, il sindaco
ordinò di installare una serie di bancarelle intorno alla reggia del Signor Ditterio,
dove venivano smerciati i gadget più svariati, tra cui il profumo ‘Scoreg n°5’,
che divenne subito un must delle fashion
victim. Contemporaneamente, sul web impazzarono gli occhiali a mosca,
ultimo trend delle nuove generazioni.
Come se non bastasse, gli addetti alla stampa misero in piedi un camping a
tutti gli effetti con tanto di zona barbecue e area pic-nic.
Accanto ai venditori delle bancarelle, divenuti incredibilmente
miliardari, si formarono pure gruppi di arditi manifestanti che protestavano
violentemente contro il disumano trattamento cui i ditteri di tutto il pianeta
sarebbero sottoposti. I rivoltanti organizzarono pertanto qualche corteo per la
città scandendo ad alta voce i seguenti slogan: «No ammazza-mosche!»,
«Insetticida non ne vogliamo!», «Ronzeremo fino alla morte!». Tuttavia, all’interno
della coalizione, ben presto si formarono due fazioni avverse che si diedero
battaglia a vicenda: da una parte lo schieramento reazionario-conservatore dei
“Mosca cieca” e, dall’altra, l’ala degli “Zitti e mosca”, alquanto più
democratica.
Nel giro di una settimana, sul più noto palinsesto televisivo locale fu
mandata in onda una puntata speciale in cui i vari ospiti, molti dei quali erano
opinionisti provenienti da vari reality show, cercavano di ripercorrere passo
dopo passo la sequenza del dramma sfiorato. Nello studio televisivo era anche
stato mirabilmente costruito un modellino di plastica che riproduceva in scala
gli interni della lussuosa dimora del Signor Ditterio, la quale venne
ribattezzata “Il vaso di Pandora”. Intervistato davanti alle telecamere, però, il
Signor Ditterio, protagonista indiscusso della serata (lo share del programma toccò il livello massimo nel momento in cui
partì il collegamento in diretta con Aralda sul letto d’ospedale), fece
l’errore di affibbiarsi tutti i meriti del salvataggio della mosca e, perciò,
fu soprannominato “La mosca cocchiera”. A Napoli, invece, i migliori artigiani
del posto crearono originali statuine del presepe (anche se era solo settembre)
raffiguranti i principali personaggi della truce vicenda. Tuttavia, le indagini
volte alla ricerca del presunto colpevole proseguivano senza risultati
soddisfacenti, nonostante l’assunzione dei più acclamati detective del mondo.
A causa di mancanza di prove
attendibili, l’inchiesta fu infine archiviata, nonostante che i maggiori
sospetti ricadessero immancabilmente sulla domestica, perché era l’unica
presente in casa quel giorno oltre alla vittima e al Signor Ditterio. La donna continuò
comunque a dichiararsi innocente, asserendo ripetutamente che non avrebbe fatto
male a una mosca. I vicini di casa, d’altro canto, dicevano che era una persona
perbene e che, nell’insieme, si trattava di gente tranquilla e gentile. A complicare
maggiormente la procedura fu un pernicioso gossip su una presunta scappatella,
avvenuta in passato, tra il figlio trentenne della domestica e la buon’anima
della prozia dell’avvocato.
Gli inquirenti avanzarono pure l’ipotesi di un tentato suicidio da parte
dell’animale. Quest’ultimo venne ascoltato in tribunale come parte lesa ma,
forse per il forte trauma subito, non fu in grado di deporre nemmeno una
parola. Di conseguenza, gli investigatori rimasero con un pugno di mosche in
mano, dato che non furono in grado di concludere nulla. Per questo motivo,
fecero saltare la mosca al naso (da porcellino) del Signor Ditterio, stizzito
dai loro metodi da buoni a nulla.
Le cronache, tra l’altro, riferiscono che un celebre regista
hollywoodiano avrebbe perfino comperato i diritti dei due libri pubblicati sul
caso per farne un colossal di ampio respiro. Invece, onorato con la medaglia
d’onore, il carabiniere morì nel giro di qualche mese a causa di una rara forma
di diarrea, probabilmente contratta durante un soggiorno natalizio alle isole
Seychelles in seguito alla puntura di una mosca tse-tse. Una volta che la salma
rientrò in patria, il soldato fu proclamato eroe nazionale in occasione di una
pomposa celebrazione in suo luttuoso ricordo, durante la quale la banda
comunale suonò un’aria di Petoven a lui dedicata. Sulla sua lapide al cimitero
fu inciso: «Una mosca bianca…».
Tre mesi più tardi la storia finì nel dimenticatoio e nessuno ne parlò
più. Oggi, il Signor Ditterio e la sua mosca Aralda hanno finalmente ripreso la
loro salutare passeggiata quotidiana, anche se sono stati costretti a ridurla
di 30 minuti, poiché l’animaletto si affatica più facilmente. Quindi, per
guadagnare tempo, hanno deciso di eliminare la sosta al Caffè da Chicco, dove
ci siamo noi che, tra una sambuca con la mosca e l’altra, sopravviviamo alla
meno peggio agli eventi che capitano nei paraggi. Ogni tanto stiamo a osservare
i bambini delle scuole che, vigili e curiosi, spiano la camminata dei due
amici: il Signor Ditterio e il suo insetto da compagnia. E non si sente volare
una mosca.