In principio fu “Lambrusco e
pop-corn” di Luciano Ligabue, canzone scanzonata in maniera piuttosto seriosa,
di un album al gusto di albume. Come è possibile vivere tra la via Emilia e il
West, ossia sognare la vita da star portandosi sulla pelle le cicatrici
ombelicali della provincia? È lecito abbinare il nobile vino rosso con il mais
scoppiato, come se la nostra stessa esistenza fosse un film hollywoodiano da
proiettare in un drive-in della Bassa? Era la domanda a cui cercava di dare una
risposta artistica il rocker di Correggio. Era il 1991, lo stesso anno in cui
il porto di Brindisi fu invaso da una massa indistinta di albanesi, teste e
corpi abbrustoliti dal sole del Mediterraneo. La penisola dei famosi si scoprì
Terra Promessa. Da quel momento seguirono altri sbarchi, altre invasioni, altre
teste bruciate dal sole: marocchini, gente di colore, romeni nel Bel Paese
stagionato. D’altra parte, l’invasione
fu una costante nella storia Stivale, che ora si scopre di gomma, e attraccato costantemente
da gommoni. E come non pensare che anche i grandi fratelli d’Italia furono
profughi, verso la Merica, dopo che sulla terra del meridione di Teano si
incontrarono terroni e polentoni.
Di ritorno da quell’America che
si pensava India, Cristoforo Colombo portò con sé il mais o granturco, dalla
cui farina le popolazioni dell’Italia settentrionale impararono a fare la
polenta. Cibo di magra, a volte unico alimento per tenersi in piedi durante le
malore contadine o montane. Per la sua preparazione, la polenta necessita di
pazienza: occorre girare e girare, affinché non rimanga troppo dura. I nonni
piemontesi raccontano che spesso di appendeva un’acciuga che scendeva al centro
del tavolo, dove sedevano bocche da sfamare dopo una dura giornata di lavoro. L’acciuga
serviva da condimento, da toccare con un pezzo di polenta, che di per sé ha un
gusto abbastanza insipido, ed è pesante da digerire.
Per amalgamare la polenta serve
l’acqua, come quella del Mediterraneo dal cui fondo gridano persone umane. Ma non
riusciamo ad ascoltarle. Granoturco: “turco” come il kebab, ossia esotico,
lontano, diverso. Per convivere ci vuole molta pazienza, e l’intelligenza è forse
l’ingrediente di cui la società necessita per amalgamarsi. L’integrazione tra etnie diverse risulta
spesso indigesta. Proprio come la polenta e il kebab. Ma la scienza insegna che
senza innesto gli alberi da frutto non producono, e sono condannati alla
sterilità. Una lezione ci è fornita anche dalla storia: l’imbastardimento
rappresenta un’iniezione di linfa vitale per un popolo che, senza l’assiduo
confronto con l’Altro, è destinato a estinguersi.
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