lunedì 19 agosto 2019

Polenta e kebab


In principio fu “Lambrusco e pop-corn” di Luciano Ligabue, canzone scanzonata in maniera piuttosto seriosa, di un album al gusto di albume. Come è possibile vivere tra la via Emilia e il West, ossia sognare la vita da star portandosi sulla pelle le cicatrici ombelicali della provincia? È lecito abbinare il nobile vino rosso con il mais scoppiato, come se la nostra stessa esistenza fosse un film hollywoodiano da proiettare in un drive-in della Bassa? Era la domanda a cui cercava di dare una risposta artistica il rocker di Correggio. Era il 1991, lo stesso anno in cui il porto di Brindisi fu invaso da una massa indistinta di albanesi, teste e corpi abbrustoliti dal sole del Mediterraneo. La penisola dei famosi si scoprì Terra Promessa. Da quel momento seguirono altri sbarchi, altre invasioni, altre teste bruciate dal sole: marocchini, gente di colore, romeni nel Bel Paese stagionato.  D’altra parte, l’invasione fu una costante nella storia Stivale, che ora si scopre di gomma, e attraccato costantemente da gommoni. E come non pensare che anche i grandi fratelli d’Italia furono profughi, verso la Merica, dopo che sulla terra del meridione di Teano si incontrarono terroni e polentoni.

Di ritorno da quell’America che si pensava India, Cristoforo Colombo portò con sé il mais o granturco, dalla cui farina le popolazioni dell’Italia settentrionale impararono a fare la polenta. Cibo di magra, a volte unico alimento per tenersi in piedi durante le malore contadine o montane. Per la sua preparazione, la polenta necessita di pazienza: occorre girare e girare, affinché non rimanga troppo dura. I nonni piemontesi raccontano che spesso di appendeva un’acciuga che scendeva al centro del tavolo, dove sedevano bocche da sfamare dopo una dura giornata di lavoro. L’acciuga serviva da condimento, da toccare con un pezzo di polenta, che di per sé ha un gusto abbastanza insipido, ed è pesante da digerire.

Per amalgamare la polenta serve l’acqua, come quella del Mediterraneo dal cui fondo gridano persone umane. Ma non riusciamo ad ascoltarle. Granoturco: “turco” come il kebab, ossia esotico, lontano, diverso. Per convivere ci vuole molta pazienza, e l’intelligenza è forse l’ingrediente di cui la società necessita per amalgamarsi.  L’integrazione tra etnie diverse risulta spesso indigesta. Proprio come la polenta e il kebab. Ma la scienza insegna che senza innesto gli alberi da frutto non producono, e sono condannati alla sterilità. Una lezione ci è fornita anche dalla storia: l’imbastardimento rappresenta un’iniezione di linfa vitale per un popolo che, senza l’assiduo confronto con l’Altro, è destinato a estinguersi.




Nessun commento:

Posta un commento