lunedì 19 agosto 2019

Il signore con la mosca al guinzaglio


È da un po’ di anni a questa parte che si è consolidata la consuetudine di avere un animale domestico da compagnia. Ossia una bestiola, presumibilmente fedele nei confronti del suo padrone, da tenere in casa o in giardino. Compito del padrone è dimostrarsi severo e affettuoso al punto giusto, ponderando premi e punizioni, in modo da addestrare il pet (come lo chiamano gli inglesi) in maniera adeguata. Anche se, purtroppo, il destino di alcuni di questi amici dell’uomo è, dopo essere stati abbandonati sul ciglio delle autostrade o condannati al randagismo, di morire come mosche.
Ora, c’è chi possiede un cagnolino/one, chi un micio, chi un criceto, chi un coniglietto, chi delle tartarughe, chi i pesci rossi. Tuttavia, nel mondo in cui viviamo, bombardato continuamente da nuove mode e tendenze, tra cui quella dell’esotismo, non è raro incontrare persone che allevino un’iguana che gira tranquillamente in salotto, serpenti velenosi sulla mensola della cameretta, ragni pelosissimi di fianco al cuscino. D’altronde, è la democrazia. Eppure, mai nessuno aveva ancora osato avere come fiera da compagnia una mosca. Tale è l’inconsueta scelta di un normale avvocato sulla cinquantina, il Signor Eugenio Ditterio.  

            Il Signor Ditterio tutti i giorni, con tanto di guinzaglio e collarino, portava a spasso il suo personale insetto, che aveva chiamato Aralda. Alle 16 in punto inaugurava la passeggiata per i marciapiedi della città, con quell’aria fiera e baldanzosa. Il Signor Ditterio è un ometto basso ma largo, con una pancia tonda come un’anguria. La testa somiglia a una biglia liscia e lucida; tra le guance costantemente scarlatte compare un nasino da maialino, su cui s’appoggiano un paio di lenti rotonde che riparano due occhietti scuri e sottili. A completamento di quella faccia a forma di luna piena spuntano due baffoni neri arricciati all’insù i quali, insieme alla mosca sotto il labbro inferiore, formano una specie di pizzetto, comunque ben curato.
Quando il Signor Ditterio usciva dalla porta della sua nobile dimora, situata nel centro urbano, eseguiva sempre i medesimi gesti, che oramai noi del posto conoscevamo a memoria. Dapprima dava un’occhiata al cielo per capacitarsi delle condizioni atmosferiche; in seguito indossava la sua bombetta marrone; dopodiché gettava lo sguardo sull’orologio da polso; portava poi fuori dall’androne il guinzaglio con Aralda; infine si voltava di schiena per chiudere le serrature dell’uscio. Tutti i santi giorni la stessa collaudata cerimonia.
Dopo aver sceso i quattro gradini di marmo che ornano l’entrata del palazzo, il Signor Ditterio e la fida Aralda incominciavano la loro quotidiana passeggiata delle ore 16 spaccate. Non appena svoltavano l’angolo della via in cui risiedevano, l’avvocato attaccava a fischiettare, come un usignolo un po’ obeso – ogni dì una melodia diversa, sicché si pensa che sia un buon intenditore di musica. Era solito procedere con il busto sbilanciato all’indietro e, ogni volta che Aralda sentiva il bisogno di fermarsi un momento, anche il Signor Ditterio si bloccava, in attesa di un impercettibile segnale dell’insetto che lo invitasse a riprendere la marcia. I più attenti del quartiere sostengono che sul collarino della mosca sia inciso il nome dell’insetto oltre che il numero civico dell’abitazione, evidentemente come riferimento in caso di smarrimento. Alle 16,30 eccoli entrare puntualmente nel Caffè da Chicco, dove consumavano rispettivamente un cappuccino macchiato tiepido e tre gocce di acqua-letamata, la specialità della casa. Dopo la breve sosta i due ripartivano per rincasare: esattamente alle 17,30 tornavano tra le mura domestiche.
Durante le loro tranquille camminate pomeridiane, il Signor Ditterio e la mosca Aralda non erano disturbati da nessuno, giacché oramai i loro concittadini erano avvezzi a tale stravaganza, vale a dire un uomo che porta in giro una mosca col guinzaglio. Soltanto i ragazzini delle scuole, gli unici ancora incuriositi da un evento così bizzarro, si divertivano a seguire il loro abituale percorso, nascosti nei cespugli o dietro alle automobili parcheggiate. Pure per quei pochi turisti che si trovavano per caso in città un uovo gigante in panciotto, che si faceva guidare da un insetto col cinturino, era davvero una scena fuori dal comune, una specie di attrazione gratuita.

            Chicco del Caffè da Chicco, si sa, sa tutto di tutti. Dal suo bancone vintage di vetro ci sta narrando che la prima donna delle pulizie del Signor Ditterio era andata a spifferare a chiunque incontrasse che, all’interno di una delle innumerevoli sale della reggia, ce n’era una interamente dedicata al minuto volatile, con tanto di due ciotole (una per il cibo e l’altra per le bevande), un collarino e un guinzaglio di ricambio, una copertina in seta donata da una ricca prozia deceduta e addirittura una cuccetta in bronzo fatta costruire dal più abile artigiano della provincia.
- ...E poi com’è che è stata licenziata questa donna delle pulizie? - chiede Alz lo smemorato al nostro barista di fiducia.
- Ma te l’abbiamo già detto quarantasei volte! - inveisce adirato Mitra il mite.
A questo punto interviene Svizzera a placare gli animi già riscaldati dallo spirito dell’acqua tonica corretta:
- Su Chicco, raccontacela di nuovo! -
Così Chicco riattacca con la storia per l’ennesima volta e noi stiamo ad ascoltarlo divertiti e compiaciuti.
            Girano, infatti, molte leggende più o meno veritiere su questa losca faccenda. La più avvincente è la versione secondo cui tale inserviente sia stata congedata dal Signor Ditterio dopo che, durante un assolato post pranzo di agosto, aveva tentato inconsciamente di schiacciare con le mani Aralda, la quale svolazzava tra i lampadari di cristallo della sala per gli ospiti abbastanza rumorosamente da disturbare l’innocuo pisolino che la domestica cercava invano di schiacciare. Al violento schiocco di palmi, il Signor Ditterio si alzò di scatto dal suo sofà imperiale e vide con estremo dolore che, sul tappeto siriano, stava agonizzando inerme il suo docile animaletto, il quale con l’unica ala rimasta integra invocava disperatamente aiuto.
Preso dallo sgomento, il Signor Ditterio si gettò tra le zampine della bestia e, straripante di lacrime, comandò repentinamente alla domestica di telefonare alle seguenti istituzioni nel seguente ordine: pronto soccorso, guardia medica, veterinario, carabinieri, polizia, pompieri, protezione civile, gli alpini, squadra artificieri, unità mobile antimafia, Vespa Club e il M.L.N.N.G. (Movimento di Liberazione Nazionale Nani da Giardino). L’inserviente, anch’essa in preda al panico e tanto spaventata quanto imbarazzata per l’incidente da lei stessa causato, chiamò in fretta e furia tutti quei numeri di telefono. Fatto sta che in quattro e quattr’otto il salone per gli ospiti era pieno imballato di divise e uniformi sgargianti e pluridecorate, tanto che un vecchio alpino dalle coronarie già fragili svenne per la mancanza di ossigeno.
Ogni rappresentante delle varie forze militari, paramilitari e non, tentò dunque con ogni sua forza di rianimare la dolce Aralda, che continuava a giacere a terra tra le dita sudaticce del Signor Ditterio, intento a fare aria con la bombetta marrone. Un volontario del pronto soccorso constatò la frattura scomposta di un’ala mentre un membro della guardia medica decretava già il decesso avvenuto. Intanto che un poliziotto componeva il numero delle pompe funebri, un pompiere si stese sul tappeto e avviò la respirazione a bocca a bocca con la mosca rantolante.
All’improvviso un carabiniere, presumibilmente non in forma smagliante data la cera verdastra del volto, mise in moto il suo deretano e lasciò partire una sonora scoreggia stratosferica che rimbombò tra le pareti in carta da parati per almeno sette secondi, come dichiarò successivamente l’ammiraglio del M.L.N.N.G. il quale, esterrefatto da cotanta potenza, aveva azionato il suo preciso cronometro. Gli artificieri indossarono immediatamente le maschere antigas e, con sofisticatissimi apparecchi, registrarono il livello di radioattività concentratosi nella zona ormai contaminata. Nel frattempo un geologo, confluito chissà come nell’unità mobile antimafia, lanciò l’allarme sismico da codice rosso, cosicché le forze dell’ordine si allarmarono e misero la stanza in totale disordine. A causa di tutto quel trambusto l’alpino svenuto si riprese ma, sfortunatamente, il turbine puzzolente lo investì con tutto il suo fetore facendolo ricadere, questa volta, in uno stato di coma profondo.
Di colpo il miracolo assolutamente inaspettato: la donna delle pulizie decise di spalancare le finestre per salvare il salvabile; l’aria di fuori, mescolandosi con l’uragano del carabiniere, creò una corrente interna che si diresse verso il tappeto siriano. Le punte dei baffoni del Signor Ditterio si abbassarono sconsolate e, in breve tempo, assunsero una colorazione ocra. Ma, appena il maleodorante vortice penetrò nella minuscola proboscide della mosca, a un tratto il soffio della vita alitò nuovamente nell’esile corpicino, il quale riprese conoscenza tra la commozione indescrivibile dei presenti. Tutti, tranne l’abbattuta penna nera, commentarono il prodigio con un fragoroso applauso corale. Adesso il Signor Ditterio piangeva, però, di gioia e continuava a sbaciucchiare la peluria facciale della sua Aralda, ripetendo in continuazione: «Non voglio perderti mai più, non voglio perderti!».

            Qualche giorno dopo il sinistro, mentre proseguiva la lenta convalescenza della bestiola, il Signor Ditterio avviò una serie d’indagini serrate per capire che cosa fosse realmente successo quel mostruoso pomeriggio di terrore, dal momento che la domestica si dimostrava reticente e si proclamava estranea al misfatto (probabilmente per paura di perdere il lavoro). Nel frattempo, la notizia finì su ogni quotidiano e fece il giro di tutti i TG nazionali e internazionali, tanto che la tranquilla cittadina fu invasa da sciami di troupe giornalistiche che, coi loro furgoni, intasarono ogni angolo di strada.
Di lì a poco furono organizzate delle vere e proprie “gite dell’orrore”, cioè escursioni guidate sul luogo del delitto che attirarono decine di migliaia di persone. Vista l’inaspettata ondata di “turisti della tragedia”, il sindaco ordinò di installare una serie di bancarelle intorno alla reggia del Signor Ditterio, dove venivano smerciati i gadget più svariati, tra cui il profumo ‘Scoreg n°5’, che divenne subito un must delle fashion victim. Contemporaneamente, sul web impazzarono gli occhiali a mosca, ultimo trend delle nuove generazioni. Come se non bastasse, gli addetti alla stampa misero in piedi un camping a tutti gli effetti con tanto di zona barbecue e area pic-nic.
Accanto ai venditori delle bancarelle, divenuti incredibilmente miliardari, si formarono pure gruppi di arditi manifestanti che protestavano violentemente contro il disumano trattamento cui i ditteri di tutto il pianeta sarebbero sottoposti. I rivoltanti organizzarono pertanto qualche corteo per la città scandendo ad alta voce i seguenti slogan: «No ammazza-mosche!», «Insetticida non ne vogliamo!», «Ronzeremo fino alla morte!». Tuttavia, all’interno della coalizione, ben presto si formarono due fazioni avverse che si diedero battaglia a vicenda: da una parte lo schieramento reazionario-conservatore dei “Mosca cieca” e, dall’altra, l’ala degli “Zitti e mosca”, alquanto più democratica.
Nel giro di una settimana, sul più noto palinsesto televisivo locale fu mandata in onda una puntata speciale in cui i vari ospiti, molti dei quali erano opinionisti provenienti da vari reality show, cercavano di ripercorrere passo dopo passo la sequenza del dramma sfiorato. Nello studio televisivo era anche stato mirabilmente costruito un modellino di plastica che riproduceva in scala gli interni della lussuosa dimora del Signor Ditterio, la quale venne ribattezzata “Il vaso di Pandora”. Intervistato davanti alle telecamere, però, il Signor Ditterio, protagonista indiscusso della serata (lo share del programma toccò il livello massimo nel momento in cui partì il collegamento in diretta con Aralda sul letto d’ospedale), fece l’errore di affibbiarsi tutti i meriti del salvataggio della mosca e, perciò, fu soprannominato “La mosca cocchiera”. A Napoli, invece, i migliori artigiani del posto crearono originali statuine del presepe (anche se era solo settembre) raffiguranti i principali personaggi della truce vicenda. Tuttavia, le indagini volte alla ricerca del presunto colpevole proseguivano senza risultati soddisfacenti, nonostante l’assunzione dei più acclamati detective del mondo.

            A causa di mancanza di prove attendibili, l’inchiesta fu infine archiviata, nonostante che i maggiori sospetti ricadessero immancabilmente sulla domestica, perché era l’unica presente in casa quel giorno oltre alla vittima e al Signor Ditterio. La donna continuò comunque a dichiararsi innocente, asserendo ripetutamente che non avrebbe fatto male a una mosca. I vicini di casa, d’altro canto, dicevano che era una persona perbene e che, nell’insieme, si trattava di gente tranquilla e gentile. A complicare maggiormente la procedura fu un pernicioso gossip su una presunta scappatella, avvenuta in passato, tra il figlio trentenne della domestica e la buon’anima della prozia dell’avvocato.
Gli inquirenti avanzarono pure l’ipotesi di un tentato suicidio da parte dell’animale. Quest’ultimo venne ascoltato in tribunale come parte lesa ma, forse per il forte trauma subito, non fu in grado di deporre nemmeno una parola. Di conseguenza, gli investigatori rimasero con un pugno di mosche in mano, dato che non furono in grado di concludere nulla. Per questo motivo, fecero saltare la mosca al naso (da porcellino) del Signor Ditterio, stizzito dai loro metodi da buoni a nulla.
Le cronache, tra l’altro, riferiscono che un celebre regista hollywoodiano avrebbe perfino comperato i diritti dei due libri pubblicati sul caso per farne un colossal di ampio respiro. Invece, onorato con la medaglia d’onore, il carabiniere morì nel giro di qualche mese a causa di una rara forma di diarrea, probabilmente contratta durante un soggiorno natalizio alle isole Seychelles in seguito alla puntura di una mosca tse-tse. Una volta che la salma rientrò in patria, il soldato fu proclamato eroe nazionale in occasione di una pomposa celebrazione in suo luttuoso ricordo, durante la quale la banda comunale suonò un’aria di Petoven a lui dedicata. Sulla sua lapide al cimitero fu inciso: «Una mosca bianca…».

Tre mesi più tardi la storia finì nel dimenticatoio e nessuno ne parlò più. Oggi, il Signor Ditterio e la sua mosca Aralda hanno finalmente ripreso la loro salutare passeggiata quotidiana, anche se sono stati costretti a ridurla di 30 minuti, poiché l’animaletto si affatica più facilmente. Quindi, per guadagnare tempo, hanno deciso di eliminare la sosta al Caffè da Chicco, dove ci siamo noi che, tra una sambuca con la mosca e l’altra, sopravviviamo alla meno peggio agli eventi che capitano nei paraggi. Ogni tanto stiamo a osservare i bambini delle scuole che, vigili e curiosi, spiano la camminata dei due amici: il Signor Ditterio e il suo insetto da compagnia. E non si sente volare una mosca.


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