«Non vi sono scappatoie: la realtà va
affrontata così com’è[1]»
(Aurelio Peccei)
«Immagini che hanno il solo scopo di
presentare il prodotto[2]»
(In parecchie pubblicità televisive e
su molte confezioni alimentari)
«Caution: objects in this mirror may be closer
than they appear! [3]»
(Sugli
specchietti retrovisori delle automobili Usa)
«Lo scopo
del gioco è di trarre profitto […]. Quando il penultimo giocatore ha fallito,
l’ultimo giocatore rimasto vince la partita[4]»
(Regole di
“Monopoli”)
[2] In G. CUOZZO, Filosofia delle
cose ultime. Da Walter Benjamin a Wall-E, Moretti e Vitali, Bergamo, 2013,
p. 66.
[3] “Attenzione: gli oggetti nello
specchio potrebbero essere più vicini di quanto sembrino”, in J. BAUDRILLARD, L’America, trad. it. di L. Guarino,
Feltrinelli, Milano, 1987, p. 7.
La mia tesi ha
primariamente lo scopo di presentare la vita e il pensiero di Aurelio
Peccei: economista torinese, partigiano, dirigente Fiat, imprenditore
internazionale e soprattutto fondatore del Club
di Roma – associazione senza scopo di lucro nata nel 1968 per
sensibilizzare la popolazione mondiale circa i maggiori problemi dell’umanità.
L’obiettivo principale del lavoro è perciò di ricavare
una sorta di distillato filosofico dalla vicenda biografica e intellettuale di
Aurelio Peccei, al fine di esaminare gli elementi di quella che può essere
definita filosofia “pecceiana”.
Partendo dai concetti di Predicament of Mankind (“malpasso dell’umanità”) e World Problematique (“problematica
mondiale”), nei suoi scritti Aurelio Peccei elabora una
forma di umanismo ambientalista. Innanzitutto,
egli effettua una diagnosi della complicata crisi globale, individuandone la causa
profonda: la “primitività”, l’arretratezza o la decadenza dell’essere umano,
che subisce una regressione spirituale e una involuzione morale, surclassato dalla
ultramodernità dei sistemi artificiali che, viceversa, progrediscono a un ritmo
quasi inverosimile, grazie ai prodigi di scienza e tecnica. È quindi
indispensabile per Peccei investire nello sviluppo dell’uomo, offrendogli in
prima battuta una formazione sistemica ed eclettica, affinché egli compia una vera
e propria evoluzione culturale, un rinnovamento
etico che faccia emergere le capacità potenziali e le qualità latenti in
ciascun individuo. Perché ciò si verifichi occorre secondo l’autore una “coscienza di specie”, che si può
innescare mediante un nuovo umanesimo, che vada ad integrare le “scienze
esatte”, foriere di rivoluzioni materiali scientifiche, industriali e
tecnologiche.
In particolare, per Peccei una delle più importanti missioni
della specie umana – come si evince peraltro dai vari rapporti al Club di Roma,
a partire dal famoso The Limits to Growth
del 1972 – è costruire una “Realutopia”
ecologica a partire da una gestione conservativa delle risorse naturali,
passando dalla crescita produttiva esponenziale a una crescita limitata, differenziata,
organica e sostenibile, per
raggiungere una condizione di equilibrio dinamico del sistema mondiale.
Il
punto di partenza della mia ricerca è in effetti la crisi ecologica in atto come graduale disfacimento del pianeta
Terra, che si manifesta ovunque tramite vari segni quali il cambiamento
climatico e la perdita di biodiversità. Ho cercato di mostrare, tuttavia, come
oggigiorno la devastazione della biosfera si combini pure, da un lato, con lo
sfibramento della naturalità umana (intesa come unione di corpo e psiche) e, dall’altro,
con la disintegrazione dello stesso mondo reale. Nel dettaglio, il fenomeno si
esplica attraverso quelli che riconosco come i processi di dis-umanizzazione, dis-animalizzazione
e dis-oggettivazione, che nel complesso configurano una iperrealtà
virtuale, distorta, falsata, deformata o snaturata.
Ho allora rintracciato una meta-fisica postmoderna,
dopo la metafisica classica e quella rappresentata dai “Grandi Racconti”
ideologici della modernità, smascherati dai postmodernisti stessi. Essa indica il
pensiero astratto consumistico-tecnocratico in un certo senso sovra-umano,
soprannaturale ed extra-terrestre, che ci ha in qualche modo condotti fuori dal
corpo, oltre la Terra, lontano dal mondo concreto.
Di conseguenza, la pars
destruens dello studio consiste essenzialmente in una disamina della società
dei consumi, vittima di una strana alienazione percettiva, interpretativa
ed etica che denomino “jet lag esistenziale”: la sindrome di chi ha
smarrito, per così dire, le coordinate spaziotemporali e vaga quasi “senza fissa
dimora”. Analizzando l’occidentalità postmoderna, si nota infatti che è la
cosiddetta “società del benessere” a produrre in larga misura mal-essere,
esemplificato da patologie psicosomatiche, disuguaglianze socioeconomiche e distruzione
della realtà fisica. La civiltà opulenta dei Paesi altamente industrializzati è
appunto basata sul continuo spreco di risorse sia naturali che umane. Così, avvalendomi
specialmente delle riflessioni del Professor Gianluca Cuozzo e con anche
l’ausilio di alcune opere d’arte come film e racconti, ho osservato che la produzione
di beni è sempre produzione di rifiuti e rifiutati.
Passando alla pars
construens della mia proposta teorica, volta al recupero di un ben-essere
psicofisico integrale, chiamo “ermeneutica della sopravvivenza” o “perifisica”
semplicemente il rovesciamento della meta-fisica postmoderna. Essa implica
pertanto un fisiologico ritorno a vivere secondo natura. In primo luogo,
“vicino alla natura” del nostro corpo vivente e sensibile. In secondo luogo,
“presso la natura” intesa propriamente come ambiente, cioè dentro a un
ecosistema con precise leggi fisiche, che garantiscono la continuazione della
vita su questo pianeta. In terzo luogo, perifisica significa “a contatto con la
natura” del mondo fenomenico, senza mai dimenticare dunque la materialità effettiva
delle cose.
In conclusione, seguendo le tracce lasciate da filosofi
come Hans Jonas, Ivan Illich, nonché dallo stesso Aurelio Peccei, la perifisica
corrisponde in sostanza a una ecosofia, nel senso di cultura
dell’abitare e saggezza della “casa” comune, dove ri-prendere residenza per
ottenere un autentico “permesso di
soggiorno” (terrestre), potremmo dire, svolgendo responsabilmente le nostre “faccende
domestiche”, alla stregua di umili “casalinghi” planetari.
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