Lo scopo di
questo articolo è di ricavare, presentando la sua costellazione di idee e
ideali, una sorta di distillato filosofico dalla lettura della vicenda storica
e intellettuale di Aurelio Peccei: partigiano torinese, manager Fiat, imprenditore
internazionale, noto soprattutto in qualità di fondatore (con lo scienziato
scozzese Alexander King) del Club di
Roma[1].
In via preliminare, occorre dire che teoria e prassi rappresentano due
addendi inscindibili nella sua personalità: l’assidua concomitanza di idea e
azione, di pianificazione e realizzazione, è una costante del pensiero (e del
lavoro) di Aurelio Peccei. In aggiunta, è regolarmente presente nel suo stile
un modo di procedere che alterna pars
destruens e pars construens.
Dopo la critica, infatti, egli non scorda mai la fase propositiva ma, al
contrario, lancia soluzioni pragmatiche pur lasciando aperto il dibattito –
propone ma non impone. Tipico del suo messaggio è, una volta analizzato
dettagliatamente un determinato problema, l’appello a non perdere tempo e, di
rimando, ad agire in fretta. Queste caratteristiche del suo modo di meditare e
di essere, ne hanno fatto a buon diritto una specie di consulente dell’umanità.
Emergono perciò alcune peculiarità attitudinali che costituiscono le
specificità del suo carattere: fermezza d’animo, forza di volontà,
perseveranza, statura morale, sensibilità e ambizione, rigoroso metodo di
lavoro, pensiero originale e coerente. Queste virtù, generalmente, diventano
anche i connotati che contraddistinguono il Club di Roma (la sua “creatura” più
nota), riversandosi a loro volta nei vari rapporti da esso richiesti.
Ripercorrendo la vita e
l’opera di Aurelio Peccei troviamo una persona curiosa delle diversità del
mondo, poliglotta, viaggiatore e conferenziere instancabile, tessitore di reti
con gli strumenti di comunicazione di un’epoca pre-Internet, scrittore efficace
che sa rivolgersi al pubblico con una prosa paratattica, capace di metafore
pregnanti e immagini suggestive.[2]
È la descrizione offerta da Mario
Salomone, educatore ambientale e scrittore[3].
Anna Pignocchi, segretaria personale
di Aurelio Peccei, oltre a evidenziarne il calore umano e il senso
dell’umorismo, ricorda come egli amasse autodefinirsi «a hopeless generalist[4]»,
un inguaribile eclettico. Uomo libero e cittadino del mondo, Peccei appare
anzitutto come un filantropo che sente la propria responsabilità verso
l’umanità. Aveva la «capacità di ascoltare in modo aperto e umile e di imparare
da diverse culture[5]»,
ricorda Eleonora Barbieri Masini,
epigona dei future studies in Italia,
membro onorario del Club di Roma, vice presidente della Fondazione Aurelio
Peccei e docente di Ecologia Umana presso l’Università Gregoriana. Enrico Cerasuolo, regista torinese che
ha scritto e diretto Last call, film-documentario sulla saga che ruota
attorno ad Aurelio Peccei, al Club di Roma e agli “eroi” de I limiti dello sviluppo scrive che, in
virtù di una capacità visionaria, egli «aveva il coraggio dell’utopia, la
volontà di progettare un futuro migliore e di compiere passi concreti per la
sua realizzazione[6]». Gianfranco Bologna mette a fuoco il suo
connaturato “pro-getto”: «Aurelio era sempre proiettato in “avanti”. Aveva la
straordinaria capacità di “vedere” nel futuro e di interpretare i problemi, le
situazioni, le necessità con decenni di anticipo[7]».
Pensare per Peccei – concordemente con la comune radice greca del verbo
“vedere” e del sostantivo “idea” – significava appunto soffermarsi sui processi
in corso onde prevederne gli effetti. Perciò egli è stato un precursore sotto
molti punti di vista: metaforicamente, quasi un veggente teso a leggere dentro
quella sfera di cristallo che è il mondo – una fragile perla blu. Al di là
della suggestione, Peccei si mostra come un ermeneuta realista intento a capire
i segni sul grande libro della natura, decifrando e traducendo i sintomi dei
mali dell’umanità. Federico Mayor,
direttore generale dell’UNESCO dal 1987 al 1999, lo elogia come segue: «A
un’intelligenza brillante univa un magnetismo e un ascendente unici, che ci
incantavano e davanti ai quali tutti gli ostacoli cadevano. La sua forza di
convinzione era impastata di questa “qualità umana”, di cui si è fatto
promotore e che […] è l’esigenza fondamentale del nostro tempo[8]».
Dal punto di vista professionale, Peccei è un economista sui generis, potremmo dire, e un manager
illuminato. Nel ricoprire ruoli prestigiosi in giro per il mondo, egli associa
alla perizia e all’esperienza manageriali la deontologia civile dei grandi
capitani d’industria. Come rileva Adriana
Castagnoli, considerando in veste di dirigente industriale il capitale
umano l’asset più importante di
un’azienda, egli è convinto che l’ethical
man venga prima dell’economic man.
Secondo il suo punto di vista, l’impresa multinazionale deve infatti unire il
principio della redditività a quello dell’utilità sociale, che si concretizza
in obblighi ecologici, culturali ed educativi. A tale riguardo, per le sue
sottili doti imprenditoriali e la solida conoscenza dell’economia globale, Daisaku
Ikeda, con cui scrive Campanello
d’allarme per il XXI secolo, lo descrive come un «consulente economico e un
brillante uomo d’affari[9]».
Cerasuolo mette però in luce che egli «era un industriale e aveva un sogno,
costruire una governance dello
sviluppo sostenibile attraverso capitalisti illuminati e politici lungimiranti[10]».
Unendo quasi in maniera alchemica il raziocinio empirico dell’imprenditore con
la calda immaginazione dell’utopista, il suo è perciò un pensiero mite e
temperato. Ad ogni modo, si può affermare che per lui prima dell’occupazione
viene la preoccupazione, ossia l’apprensione verso i tormenti della specie Homo.
Sulla scia delle idee di Luigi Einaudi e del “Manifesto di Ventotene” di
Altiero Spinelli, politicamente Peccei sogna una comunità europea (e mondiale)
federale e sovranazionale. Ammiratore degli Usa ma critico verso lo spauracchio
della “civiltà tecnetronica” con cui si sollazza lo zio Sam, crede in un
“neoatlantismo”: una reale globalizzazione di idee e valori tra le due sponde
dell’oceano, invece che di soli beni materiali.
È questo il messaggio che sgorga da Verso
l’abisso, la sua prima fatica letteraria edita nel 1969 dalla Macmillan di
New York col titolo The Chasm Ahead. Il saggio esamina infatti il divario
creatosi tra Stati Uniti ed Europa, cioè la frattura in seno alla “piattaforma
Atlantica”, che può degenerare in una nuova “deriva dei continenti”. Secondo
l’autore, il Vecchio Mondo corre il pericolo di rimanere troppo indietro
rispetto alle conquiste formidabili del Nuovo Mondo. Tale gap tecnologico rischia di inficiare una volta per tutte i rapporti
tra i due che, invece, bisogna rinsaldare al più presto. Pertanto, la tesi
principale del libro è che tra le rive dell’oceano salpato da Colombo ci sono
contemporaneamente forze divergenti – crepacci carsici come cicatrici sulla
cartina politica della Terra – e correnti convergenti, che rispettivamente
distanziano e avvicinano europei e americani. Il suo auspicio, ovviamente, è
che a prevalere siano i punti di contatto, indispensabili in un villaggio
globale e interconnesso. Per ridurre tale «écart
de civilisation» (p. 63), si può dire che secondo Peccei occorre in primo
luogo scongiurare un altro “ratto di Europa”, che non deve cioè divenire una
«copia carbone degli Stati Uniti» (p. 75); in secondo luogo, è indispensabile
ricucire la solidarietà con le altre nazioni avanzate, sulla falsariga della
cooperazione tra i popoli.
È importante notare come nella mente di Peccei vi fosse già una limpida
visione d’insieme sulle tendenze evolutive del mondo, sempre più unito grazie
alle scoperte frutto dell’ingegno umano: comunicazioni, trasporti,
intrattenimento di massa. Inoltre, sono qui presenti in nuce i principi guida della sua
impostazione teorica matura: unità globale come premessa di sopravvivenza;
pianificazione a lungo termine con obiettivi ad ampio respiro; approccio
olistico per affrontare la complessità dei problemi che gravano il mondo.
Ovviamente, non manca chi gli ha mosso contro delle critiche, sia in
Italia che nel dibattito internazionale. Come annota Mario Salomone, «per la
sinistra il “manager” Peccei è la longa manus
di qualche complotto capitalista»[11].
Nel 2005 Human Events, una rivista
della destra americana, lo inserisce nella lista dei trenta autori più pericolosi
del XIX e XX secolo. Parimenti, vari esponenti liberal considerano Peccei e il
Club di Roma i fautori di un elitarismo escatologico che inscenerebbe l’effetto
Cassandra tipico del catastrofismo millenaristico, invocando addirittura lo
spettro di un ritorno al Medioevo; nel migliore dei casi il loro operato appare
niente di più che un’idea romantica ma irrealizzabile. I partigiani del business as usual, inoltre, hanno
calcato la mano su errori e inesattezze de I
limiti dello sviluppo[12];
per converso, teorici della decrescita come Georgescu-Roegen hanno definito il
Club di Roma una «incredibile fanfara[13]».
Alcune obiezioni sono certamente discutibili e, in ogni caso, non rientra
negli intenti di questo lavoro effettuare una dettagliata analisi argomentativa
per confutarle una ad una. Comunque, sembra per lo meno interessante osservare
che il 2008 (centenario della nascita di Peccei) sia stato aspramente segnato
da una crisi finanziaria in qualche modo prevista dall’autore, che purtuttavia
resta soltanto un sintomo di quella più complicata problematica mondiale
sviscerata e affrontata nell’arco di una vita. In più, «non ascoltare le
Cassandre può talvolta significare aprire la strada a qualche Hitler[14]».
Ad ogni modo, è indubbio che Aurelio Peccei è stato un personaggio scomodo,
difficilmente etichettabile secondo dogmatismi e canoni ideologici.
Di conseguenza, la prospettiva con cui osservare il cammino esistenziale
e intellettuale di Peccei può essere quella della “resistenza”. Dapprima egli
milita infatti nel movimento antifascista durante la Seconda Guerra Mondiale.
Ma dopo aver attivamente preso parte
alla Resistenza partigiana (detta anche “Secondo Risorgimento”), il sogno di Peccei è l’avvento di un nuovo
Risorgimento, questa volta mondiale, che abbracci tutti i popoli della Terra
per costruire un’avvenire migliore. Possiamo allora vedere l’incessante impegno
di Peccei dopo la fondazione del Club di Roma come una seconda Resistenza, un’opposizione
a ciò che Pier Paolo Pasolini definiva
“fascismo dei consumi” o totalitarismo economico.
Aurelio Peccei appare in un certo senso un illuminista post-litteram, tenace e intraprendente,
critico del presente ma detonatore di una positiva carica di speranza. Contro i
moderni barbari egli si fa promotore dell’esortazione latina divenuta con Kant
motto dell’Illuminismo: “Sapere aude!”.
“Abbi il coraggio di conoscere”, ci comunica Peccei dalle pagine dei suoi
scritti: “Non fermarti al gradino dei pregiudizi, dei luoghi comuni o delle
opinioni del passato ma, al contrario, serviti della tua propria intelligenza
per scalare la vetta infinita della saggezza, passo dopo passo. Non avere paura
del futuro, o uomo, ma osa uno splendido avvenire, che potrai fabbricare con le
tue stesse mani, guidate dal tuo stupefacente cervello”.
La sua posizione è quella di un ottimismo moderato, che nasce
dall’inquietudine di chi spalanca gli occhi di fronte alla realtà, ma non si
rassegna nonostante lo sdegno. Consapevole delle difficoltà dello status quo ma fiducioso nei confronti
del domani, l’eroe per Peccei è colui che si attiva energicamente per
affrontare a viso aperto e con la schiena dritta gli ostacoli che si
frappongono sul cammino dell’essere umano. Certo, non si avverte nel suo
pensiero l’idea della speranza di un Ernst Bloch, così come egli è ugualmente
lontano dalla disperazione intransigente di Günter Anders. Si può dire che
Peccei sia piuttosto in linea con la responsabilità di Hans Jonas, anche se
forse con meno paura e più fiducia – euristica della speranza?
Un’ultima nota circa il senso del sacro in Peccei. Egli si professa un
ateo agnostico: «Non sono un credente secondo il significato attribuito a
questa definizione dalle varie religioni[15]».
Purtuttavia, nonostante l’educazione laica influenzata dal socialismo, egli
ritiene che la religiosità sia una dimensione essenziale che l’Homo Consumens ha
smarrito, soppiantata dal riduzionismo del neopagano culto materialista, «il
mito della sacra divinità della crescita, che presiede la nostra società
mercantile[16]». Ne
deriva che «questa umanità, ancorché prigioniera di motivazioni
materialistiche, ha un profondo bisogno di
spiritualità[17]».
[1] Associazione senza scopo di lucro
nata nel 1968 con l’obbiettivo di sensibilizzare la popolazione mondiale circa
i maggiori problemi dell’umanità. Cfr. http://www.clubofrome.org/.
[2] M. SALOMONE, La società umana oltre il “malpasso”. Orientati al futuro: Aurelio
Peccei e il Club di Roma, Istituto per l’Ambiente e l’Educazione Scholé
Futuro, Torino, 2012, p. 70.
[4] A. PIGNOCCHI, “La forza
dell’ottimismo”, in ivi, op. cit., p.145.
[5] E. B. MASINI, L’eredità di Aurelio Peccei e l’importanza della sua visione
anticipatrice, testo originale in lingua inglese pubblicato sul sito http://www.clubofrome.org,
tradotto da S. Arnaldi e F. Curet (Istituto Jacques Maritain di Trieste), p.
17.
[6] E. CERASUOLO, “La necessità di
raccontare la storia di Aurelio Peccei e I
Limiti dello sviluppo”, in A. Castagnoli (a cura di), Fra etica, economia e ambiente. Aurelio
Peccei: un protagonista del Novecento, SEB 27, Torino, 2009, p. 97.
[7] G. BOLOGNA, “Introduzione” di A.
Peccei, La qualità umana, Castelvecchi,
Roma, 2014, p. 12
[8] F. MAYOR, “L’influenza del
pensiero di Aurelio Peccei”, in Lezioni
per il ventunesimo secolo. Scritti di
Aurelio Peccei, a cura della Fondazione Aurelio Peccei, Presidenza del
Consiglio dei Ministri – Dipartimento per l’informazione e l’editoria, Roma,
1993, p. 283.
[9] D. IKEDA, “Una rivoluzione
interiore”, in M. SALOMONE, La società
umana oltre il “malpasso”, op. cit., p. 134.
[10] E. CERASUOLO, “Ultima chiamata”,
in .eco, n. 5 - maggio 2008, anno
XX/150, p. 16.
[11] M. SALOMONE, La società umana oltre il “malpasso”, op. cit., p. 47. Addirittura,
girano in rete dietrologie per cui Peccei farebbe parte di una cospirazione
segreta massonica (http://ambientalismodirazza.blogspot.it/2008/06/aurelio-peccei-ed-il-club-di-roma-il.html).
[12] Sulle polemiche suscitate dal
primo rapporto del Club di Roma cfr. L. PICCIONI, G. NEBBIA, I limiti dello sviluppo in Italia. Cronache
di un dibattito 1971-74, “I quaderni di Altronovecento n. 1”, Fondazione
Luigi Micheletti, Brescia, 2011; P. BRAILLARD, L’impostura del Club di Roma, trad. it. di F. Cavallo, Edizioni
Dedalo, Bari, 1983.
[13] N. GEORGESCU-ROEGEN, Bioeconomia. Verso un’altra economia
ecologicamente e socialmente sostenibile, a cura di M. Bonaiuti, Bollati
Boringhieri, Torino, 2003, p. 219.
[14] T. DE MONTBRIAL, Energia. Conto alla rovescia, trad. it
di C. Bay, Mondadori, Milano,1982, p. 171.
[15] A. PECCEI, D. IKEDA, Campanello d’allarme per il XXI secolo, Bompiani,
Milano, 1985, p. 89.
[16] A. PECCEI, “Alcune risposte ai
critici dei Limiti dello sviluppo”,
in Lezioni per il ventunesimo secolo,
op. cit., p. 23.
[17] A. PECCEI, Cento pagine per l’avvenire, Mondadori, Milano, 1981, p. 38.
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