Vivono nel
nostro stesso mondo, mangiano quello che mangiamo noi, parlano come noi nella vita
di tutti i giorni. Ma se uno si mette ad ascoltare le loro canzoni finisce per
non un capirci un’acca, avendo quasi l’impressione di avere a che fare con degli
alieni particolarmente abili come musicisti che, avendo trovato una
registrazione in lingua italiana, hanno finito col combinarne a random i vari
sintagmi. Le parole che noi tutti utilizziamo nella quotidianità vengono infatti
da loro rimodulate e intonate in una maniera sbalorditiva, che destabilizza e
disorienta chi ode. Provano le medesime nostre emozioni, soltanto che le
comunicano in musica, in modo originale. Rappresentano quindi un caso unico tra
i gruppi musicali del Bel Paese.
Stiamo parlando
dei Verdena, power trio bergamasco alternative grunge attivo dal lontano 1995. Raccattano
verbi, congiunzioni, avverbi, aggettivi, articoli e sostantivi come netturbini
del suono, per dare vita a improbabili combinazioni artistiche. D’altronde, chi
capisce il cubismo o l’astrattismo?
Come Picasso o Kandinskij si può dire che abbiano innovato (almeno dal punto di
vista della scrittura dei testi) il campo culturale in cui lavorano, proponendo
al pubblico e alla critica cose realmente nuove. Per questi motivi, essi hanno pressoché
esposto una nuova corrente artistica nel genere rock dello Stivale.
Una poetica punk
contraddistingue il loro sound, adottando un uso davvero originale degli attrezzi
del mestieri di una band. Non ha senso decriptare i loro testi: le opere
di costoro sono fatte da frasi di contrappunto in cui note e lettere si intrecciano in un
gioco alchemico che riesce a ottenere risultati alquanto interessanti. Più che
in altri artisti, qui la musica non può slegarsi dalle parole: i due elementi
si fondono in composizioni simili a miscugli chimici, che reagendo formano cocktail
comunicativi potenti. Nelle strofe e nei ritornelli dei loro pezzi
difficilmente troveremo massime o aforismi da incorniciare a mo’ di citazioni,
come capita coi grandi cantautori. Allo stesso modo, si fa fatica a
rintracciare nella loro produzione discografica delle hit da lanciare nelle
classifiche di pop music. Dunque, è difficile individuare i temi dei loro componimenti.
Ma la musica dei Verdena tocca i sentimenti, scuote il cuore e fa vibrare l’anima.
Coerenti fin
dagli esordi, hanno sempre tirato dritto per la loro strada, senza scendere a
compromessi, col loro stile nudo e crudo. Certo, si nota una indubbia
evoluzione artistica nel corso del tempo, ma la loro morbida durezza è rimasta
intatta, senza lasciarsi scalfire da tendenze del momento. Allora – senza
entrare più di tanto nei dettagli tecnici sulla struttura dei loro brani, senza
analizzare accordi, melodie o variazioni di tempo che appassionano gli addetti
ai lavori e i loro fan più attenti – una cifra di interpretazione delle
canzoni dei Verdena può essere quella di capire il significato delle note e ascoltare il
suono delle lettere. Lemmi maggiori e minori, in diesis o bemolle; battute (di
spirito) e versi (poetici).
Dal punto di vista
tecnico, il cantante è capace di sussurrare appena sotto voce al microfono,
modulando le corde vocali da crooner
afono o, viceversa, di sforzarle in grida da urlatore prossimo alla raucedine.
Il basso elettrico e le chitarre si amplificano grazie a distorsioni ed effetti
ruvidi e audaci. La batteria percuote piatti e tamburi secondo varie ritmiche,
anch’esse parti importanti del linguaggio complessivo. Orchestrano inoltre brani
strumentali che sollevano polvere e coriandoli verso il soffitto mediante le
onde delle casse acustiche, dove l'odore e il sudore della sala prove diviene incenso in
aerosol.
Pronomi, nomi
propri e sillabe in rima si mescolano con figure oniriche al rallentatore o
accelerate. Arpeggi, assoli e pennate di vocali e consonanti, accenti
gutturali; danze di apostrofi e cori dei segni di interpunzione. Sinfonie di tastiere
e archi: scale melodiche che girano a spirale proiettando istantanee di un
universo surreale. Una raffineria di riff grezzi che fabbrica energia di
qualità, tra pulviscoli di sogni e mozziconi, arcobaleni su marciapiedi con pois
di chewing-gum, aurore boreali e televideo. Psichedelica sbiadita, arrugginita:
lenti in 3D effetto seppia che mostrano le nuvole di fango della realtà.
Titoli
enigmatici e accostamenti insoliti di termini: non stupisce che su Facebook
circoli un dizionario Verdena-Italiano. Il loro è in effetti un vocabolario piuttosto eccentrico. Il complesso
ha escogitato negli anni una tecnica formidabile di costruzione degli album,
una galassia semantica che sforza i confini della logica grammaticale. Nella loro
stramba analisi del periodo, figure retoriche e sintassi non seguono le regole
con cui il nostro orecchio è abituato a sentirle. Parimenti, immagini fuori dal
comune si incastrano con proposizioni che battono i nostri timpani e provocano
il nostro udito. Un gioco da ragazzi, dada e semiotico, tanto complicato da
sfiorare la banalità più assurda. Senza etichette, indipendenti allo stato
brado nella provincia rock del panorama italico, i Verdena continuano a suonare
la loro storia.
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