domenica 2 giugno 2013

Canto degli assuefatti



Dopo essere stati testimoni in prima persona della ferrea determinazione patriottistica, o assurda convinzione di autodistruggersi, dei terroristi islamici e dei kamikaze giapponesi, peccatori che occupano la zona a loro riservata del VII cerchio, sede eterna dei suicidi e degli scialacquatori, io e il mio maestro William Wallace stiamo per accedere nel successivo girone del labirinto pietoso. Questa è la tappa che precede l’incontro con coloro che si sono macchiati di “crimini contro l’ umanità” la cui pena, già in parte accennatami da alcuni personaggi durate il viaggio, non vedo l’ora di conoscere, poiché è la mia rabbia che mi conduce da loro.
Ma ora ci troviamo al cospetto degli assuefatti. Codesti in vita si dedicarono ad abitudini poco decorose, furono dipendenti dall’alcool e dalla droga, vennero definiti dalla gente comune “ubriaconi” e “bucati”. Essi, dopo esser entrati in questo mondo altalenante tra stati di euforia e conseguenti stati depressivi, rare vote riuscirono ad uscire da quell’ universo parallelo.
Lo spettacolo che appare davanti ai nostri occhi è patetico: un lunghissimo tunnel scuro, al cui interno sono racchiusi in gabbia, come bestie, i peccatori. Maestro Wallace scuote lentamente la testa e compie pochi passi prima di accorgersi che io sono ancora impietrito davanti a quella galleria degli orrori. Allora torna sui suoi passi, mi afferra una mano per poi condurmi più vicino al tunnel. Da qui riesco a riconoscere tre peccatori: la prima è Kate Moss, modella di fama mondiale, sulla quale però circolarono più voci riguardo i suoi continui scandali per consumo di cocaina, che a proposito delle sue apparizioni sulla passerella. Gli altri due sono rinchiusi entrambi nella stessa gabbia, in quanto accomunati dalla medesima professione. Essi sono George Best, “stupefacente” ala destra del Manchester United e della nazionale inglese degli anni ’70; e quell’argentino che possedeva, come si  diceva allora, “la mano di Dio” e che fu più volte appellato come il miglior calciatore di tutti i tempi. Li osservo attentamente perché tutti hanno uno strano comportamento. Sembra infatti che la Moss tenti di sniffare col naso qualche cosa di cui però non riesco a vedere la consistenza, mentre gli altri due agiscono come se stessero fumando, portando il dito medio e l’indice alla bocca e aspirando con arroganza. “Forse non sono in grado di notare quello che assumono  in quanto essere mortale” mi domando. E perciò rivolgo lo stesso interrogativo al maestro Wallace, che mi risponde: “Tranquillo, ragazzo, tu non riesci a scorgere ciò perché davvero loro non assumono nulla che abbia reale consistenza. Infatti, dal momento che in vita si somministrarono sostanze, liquide o solide, che producevano modificazioni psichiche, qui sono costretti per l’eternità ad essere dipendenti di aria soltanto. Pensano di non averne mai a sufficienza e dunque continuano ad assuefarsi di aria, dato che è il loro corpo che li induce avidamente ad assumerne in quantità sempre maggiori, anche se di fatto non subiscono alcuna alterazione o eccitamento”. Grazie alle parole del maestro scozzese riesco così ad intendere il significato simbolico delle gabbie: durante la vita terrena tramite i loro vizi non virtuosi evadevano mentalmente, mentre ora sono obbligati a rimanere all’interno delle loro ferree prigioni.
Costeggiamo il tunnel che pare quasi infinito, senza entrare all’interno, ma osservando uno per uno i condannati attraverso strette feritoie. Dopo una lunghissima serie di individui, di cui ricordo solamente pochi nomi, tra cui Lapo Elkan, sulla cui gabbia vi è incisa la curiosa frase “abbandonata con fatica la brutta abitudine”, mi arresto per un lasso di tempo maggiore, quando noto tre personaggi, i quali, con tutti i loro difetti, furono tre straordinari fenomeni nel campo delle sette note, di cui io fui nell’adolescenza un devoto ammiratore per la loro incredibile abilità artistica e per la capacità fuori dal comune di comunicare alla gente. All’interno della medesima galera sono puniti Jimi Hendrix, Jim Morrison e Kurt Cobain. Il primo fu un formidabile chitarrista, gli altri due emblematici leaders delle loro band, rispettivamente “The Doors” e “Nirvana”. Nacquero e crebbero in contesti difficili, arrivarono a toccare il culmine dell’estremo successo per sprofondare di nuovo nel nulla. Non si accorgono nemmeno del nostro passaggio, intenti a “pseudo-iniettarsi”dell’aria nelle vene con una siringa che solo la loro mente aliena può immaginare. Vorrei dare il via ad una conversazione con i tre musicisti, ma pare che la gola si sia temporaneamente immobilizzata e con lei le corde vocali.
Allora raggiungo il mio duca con innumerevoli pensieri nella testa che mi trattengono dal pronunciare parola.  E quando vedo un polveroso sentiero alla mia destra faccio cenno allo scozzese di imboccarlo, nonostante la triste galleria prosegua ancora, tanto che non sono in grado di scorgerne la fine. Ma sono stanco e confuso. All’ingresso della stradina noto poi un cartello stradale: dice “lavori in corso” e raffigura il disegno di un progetto per la creazione di una nuova ala del tunnel. Il maestro annuisce, e in un assordante silenzio ci avviamo al girone successivo.

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