“Al tempo, ai
matti e ai padroni non si comanda”, recita un noto proverbio italiano. In
generale resta sempre valido il consiglio di non esprimersi tramite frasi fatte
o modi di dire come sono, appunto, i proverbi, ma piuttosto di usare parole
proprie (come, per esempio, esortano a fare i prof quando raccomandano il
metodo di studio più appropriato), solitamente segno di un proprio pensiero
anteriore all’esposizione orale e posteriore alla mera memorizzazione di
nozioni. Tuttavia, spesso anche i proverbi rappresentano delle interessanti
formule linguistiche, espressioni di una cultura antica in cui la saggezza
collettiva e l’educazione orale avevano un peso determinante. Allo scopo di
preservare tale importante patrimonio culturale è sorta, infatti, la paremiologia,
disciplina che si interseca con altri campi di studio quali la sociologia, la
filosofia, la storia, la meteorologia, la religione, l’agronomia e la zoologia.
In certi casi, però, è opportuno esaminare il rapporto tra le modalità con cui
una lingua comunica la propria concezione di verità e la verità che il proprio
periodo storico rivela. In particolare, risulta necessario analizzare il modo
con cui le parole si modificano nel tempo, andando a plasmare le idee degli
uomini e pertanto anche il loro comportamento. Capita infatti che pensiero,
linguaggio e azioni si influiscano vicendevolmente e che qualcuno di essi
rimanga, per così dire, indietro rispetto alle altre, perché ormai desueto o
incompatibile coi modi con cui l’uomo esprime la verità di un dato periodo
storico. Il caso che prenderemo in considerazione in questa sede è suggerito
dalla massima iniziale. Domandiamoci dunque se il detto sopracitato sia ancora
valido oggigiorno, ovvero se esso rifletta tutt’ora una qualche verità de
facto.
In realtà, esiste anche una
variazione, diciamo, cacofonica dell’adagio con cui abbiamo aperto, ossia “Al
tempo, al culo e ai padroni non si comanda”. Ora, poiché il discorso
risulterebbe assai lungo e complicato, lasciando da parte matti, ani, o
padroni, ciò su cui ci soffermeremo è il concetto che compare in ambedue le
varianti dell’aforisma, cioè il tempo. Innanzitutto, il termine italiano può
significare almeno due cose: il tempo come scorrere degli eventi, quindi
storia; il tempo atmosferico, ossia il clima. A noi qui interessa la seconda
accezione che il lemma può assumere. Effettivamente, fino a un certo momento
della storia il clima era davvero qualcosa che non poteva essere comandato
dagli uomini, alla stregua di una entità incontrollabile, misteriosa, quasi
magica e imperscrutabile, come gli dei, che soggiogavano gli esseri umani e a
cui quest’ultimi dovevano avvicinarsi in maniera cauta e prudente, data l’alta natura
dalla questione. Non a caso, le prime divinità venerate o avversate dalle
antiche civiltà erano esattamente gli agenti atmosferici quali il sole, i
fulmini e le nuvole, forieri dei fenomeni meteorologici che, nel bene e nel
male, decidevano le vite di innumerevoli individui: siccità, tempeste,
inondazioni, uragani, ecc. Per questi motivi, la meteorologia fu una della più
remote arti coi l’uomo si cimentò, attraverso l’invenzione di strumenti adatti,
per ragioni evidentemente vitali come la coltivazione e l’irrigazione dei campi
o la navigazione. Di conseguenza, il motto a cui stiamo facendo riferimento,
aveva una sua effettiva validità in passato, dal momento che era vero
che gli uomini potevano poco o nulla, con le loro misere tecnologie, al
cospetto di forze naturali così potenti e lontane nello spazio. Cionondimeno,
l’uomo ha da sempre cercato di interpretare i segni della natura per capire il
tempo atmosferico, in genere attraverso un metodo d’indagine induttivo basato
sull’associazione di casi simili ricorrenti nelle stesse condizioni
atmosferiche, ad esempio osservando, alla stregua di attenti etnologi ante
litteram, il comportamento degli animali prima di determinati fenomeni
climatici. In questo senso, possiamo affermare che l’uomo è sempre stato,
seppur in maniera vaga e imprecisa, un meteorologo, come testimonia il
peculiare desiderio umano di leggere il grande libro della natura al fine di
carpirne i segreti. D’altro canto, ogni essere vivente su questo pianeta
possiede delle capacità più o meno efficaci che gli consentono di effettuare
delle previsioni approssimative sul clima. E l’uomo non ne è certamente da
meno, in quanto animale sulla Terra.
Successivamente, le idee degli
uomini si sono evolute (per certi versi), così come le loro applicazioni
tecnologiche: la natura diviene sempre meno potente e incontrollabile grazie
alla cultura. Le nuvole si fecero in qualche modo meno lontane e si configurò,
perciò, un’epoca in cui fu possibile prevedere il clima, ossia annunciare in
anticipo, in virtù di calcoli e sofisticate apparecchiature, l’esito indicativo
delle condizioni climatiche che si sarebbero manifestate nel breve futuro.
Questa abilità umana, col passare del tempo e con l’affinarsi delle tecniche di
calcolo, si è fatta sempre più precisa, rendendo l’uomo l’unico essere vivente
in grado di avere la consapevolezza razionale delle condizione climatiche
dell’avvenire. Arrivò poi un’era in cui l’homo sapiens divenne addirittura capace
di interferire col clima, vale dire modificare volontariamente il naturale
corso dei fenomeni atmosferici, per renderlo favorevole alle proprie attività
economiche. Stiamo parlando, ad esempio, delle cannonate sparate in cielo per
scongiurare una tempesta in arrivo. Tuttavia, capitò pure che le attività
dell’uomo interferissero al di là delle sue intenzioni sul clima: effetto
serra, surriscaldamento globale del pianeta, aumento delle temperature,
scioglimento dei ghiacciai, innalzamento del livello del mare, eventi
meteorologici estremi, sono gli esiti che un certo modo di fare spiccatamente
umano produsse, i quali, passati inosservati per troppo tempo, sono oggi
studiati attentamente da scienziati e portati alla ribalta dai cosiddetti
ambientalisti o ecologisti, che dir si voglia.
Come abbiamo visto, le idee
(incubatrici di tecnica) e le azioni delle persone sono cambiate nei secoli,
apportando notevoli conseguenze al problema di cui si stiamo occupando, ossia
il concetto di tempo atmosferico e la sua relazione con la rappresentazione che
l’uomo ha di esso. Tuttavia, ci accorgiamo adesso che il linguaggio non ha
fedelmente accompagnato pensiero e azione in questa trasformazione, se ancora
oggi è lecito asserire con convinzione una sentenza come “al tempo non si
comanda”. Magari uno non pensa sempre a tutto quello che dice e parla senza
chiedersi seriamente che significato abbiano le sue parole, dando aria alla sua
bocca. Ma più sovente ancora, succede che le persone possiedano un linguaggio
arretrato rispetto alle mutate condizioni storiche, come dimostra il caso
appena esaminato. Perché è senz’altro vero che al tempo non si comanda mai
totalmente, come ci insegnano i sismologhi o i vulcanologi. Ma è anche vero che
non possiamo più lamentarci in continuazione del “brutto” tempo o piangerci
addosso quando “capitano” eventi meteorologici paranormali, maledicendo la
sorte o qualche celata divinità celeste, perché anche noi siamo in parte
responsabili. Allo stesso modo, non dovremmo più subire in maniera passiva un
tornado o un nubifragio, come se fosse una piaga mandata dall’alto e a cui noi
nulla possiamo, bensì comprendere che, innanzitutto, ciò è anche colpa nostra e
delle nostre abitudini quotidiane e che, in secondo luogo (a discapito di
quello che insinuano i proverbi e i luoghi comuni), abbiamo finito per
comandare eccessivamente al tempo, al punto che esso ora si sta
ribellando.
P.S. Questa
riflessione è nata in seguito a un colloquio con mia nonna, la quale commentava
con dolore misto a rassegnazione i traumi materiali e mentali che degli
alluvionati hanno dovuto subire a causa di un nubifragio in alcune regioni del
centro Europa, appresi dalle prime pagine di un quotidiano nazionale. Dopo alla
commossa lettura delle tragiche notizie, il suo commento a caldo è stato:
“Povera gente... Tanto al tempo non si comanda”. Da qui ho iniziato a ragionare
sulla percezione che molta gente, in buona fede e inconsciamente, ha di alcuni
fatti della realtà e, a maggior ragione, sulle responsabilità che il normale
sistema di informazioni ha su tale percezione.
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