Mi svegliai di buon umore, perché mi attendeva una giornata speciale. Ero
infatti pronto a rispondere responsabilmente all'appello della Repubblica Italiana,
che mi invita a manifestare il mio diritto/dovere in qualità di cittadino
maggiorenne, libero, partecipante alla cosa pubblica. Lo Stato mi chiamava alle
urne per esprimere il mio voto che avrebbe contribuito ‒ nel limite del
porcellum ‒ a eleggere coloro che mi avrebbero rappresentato nelle istituzioni
democratiche del Bel Paese. Mi dirigevo baldanzoso verso la scuola elementare
dove era stato allestito il seggio elettorale della circoscrizione cui appartengo.
«Documento d'identità? Celo. Tessera elettorale? Celo. Idea su chi
votare?...Celo». Passai davanti ai tabelloni riportanti le liste di partito, i
canditati alla Camera e al Senato delle varie coalizioni, ma non li degnai di
uno sguardo perché avevo bene in mente chi avrebbe ottenuto la mia fiducia. «Buongiorno»,
dissi al carabiniere. «Il cittadino è legittimato a votare», mi assicurò il
giovane scrutatore. E finalmente ero nella cabina. Presi la matita e senza
esitazioni apposi la crocetta sul simbolo prescelto. Piegai la scheda (non senza
difficoltà, lo ammetto) e con orgoglio la infilai nella fessura dell’apposito
scatolone. Ancora una volta avevo manifestato il mio senso civico e, come me,
milioni di aventi diritto. Il più era fatto; non restava che aspettare.
Le prime indiscrezioni segnalavano un discreto calo di afflusso alle urne,
rispetto alle precedenti elezioni politiche. «Vabbé, qualche migliaia di aventi
diritto in meno non cambierà così sostanzialmente l'esito del voto». Nel primo
pomeriggio le proiezioni parziali non erano molto confortanti. «Vabbé, ma sono
parziali!» Ora dopo ora, gli exit poll disegnavano una situazione sempre più
drammatica e, tra gli specialisti negli studi televisivi, aleggiava
frequentemente la parola "ingovernabilità"... «Vabbé!».
«Non voglio crederci. Ma come è possibile?? Un'altra volta?! Adesso basta, è uno scandalo, sono indignato, questa volta me ne vado sul serio!!!». Ma
improvvisamente uno tsunami di dilemmi mi investe: «Io ho votato correttamente?
Il simbolo crocettato era effettivamente quello prescelto?? Ma era a destra o a
sinistra, in alto o in basso??? La scheda per il Senato era rosa o gialla?!?».
Di colpo vengo risucchiato in una vertiginosa inquietudine: «Lo sapevo, ci sono
stati i brogli! Cavolo, avevano anche detto di bagnare la punta della matita!».
Non riesco a darmi pace; i dubbi mi assaltano. «Magari ho lasciato scheda
bianca senza accorgermene. O forse ho fatto scheda nulla involontariamente... E
se invece l'inconscio, proprio al momento di crocettare, mi avesse fatto
cambiare idea? Oppure un genio maligno, facendosi beffa del carabiniere e all'insaputa
degli scrutatori, si è intrufolato nella cabina impossessandosi del mio corpo da
cittadino libero e avente diritto! Ma, dopotutto, sono così sicuro di essere
andato a votare? E di essermi effettivamente svegliato questa mattina? E se
fosse tutto un incubo?». Forse sono pazzo, da ricoverare in
manicomio. E, come me, milioni di cittadini italiani aventi diritto.
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