A Times Square assisto ad uno spettacolo siderale che, in un certo senso, non mi è nuovo. L’ombra artificiale che i grattacieli intorno gettano sulla “piazza” è pressoché identica a quella proiettata dalle montagne nelle valli alpine. Pertanto, ho provato la medesima sensazione di freddo e buio innaturali o, in ogni caso, prematuri, che si sperimenta già nel primo pomeriggio delle giornate bianche dedicate allo sci, quando il sole sparisce dietro alle cime innevate, lasciando avanzare un’oscurità gelida e bluastra che inghiottisce anzitempo le piste e i rifugi dell’impianto. E non riesco a capire il motivo per cui una comunità decida di circondarsi volontariamente di creste artificiali che la privano, così precocemente nel corso della giornata, di luce e calore solari. A questo proposito, mi viene in mente una scena del film d’animazione Il Re Leone, in cui Mufasa, alle prime luci dell’alba, esorta il cucciolo Simba a evitare le zone limitrofe coperte dalla penombra, perché rappresentano il regno del male: «Guarda, Simba. Tutto ciò che è illuminato dal sole è il nostro regno[1]». Il monito del padre stimola la curiosità del piccolo felino: «E i posti all’ombra, allora? [...] Credevo che un re potesse fare ciò che vuole!». Mufasa, perentorio, risponde che «quelli sono oltre i nostri confini. Non ci devi mai andare!». Il siparietto, in realtà, è una splendida metafora sulla circolarità della vita come equilibrato alternarsi degli opposti in natura. Che non è poi così distante dalla logica dei contrari eraclitea: «Polemos è padre di tutte le cose, di tutte re; e gli uni disvela come dèi e gli altri come uomini, gli uni fa schiavi gli altri liberi». E’ paradossale che gli uomini occidentali esigano sempre il “bel” tempo, come condizione climatica ideale per svolgere le proprie attività quotidiane e, nello stesso tempo, si privino in modo così insensato del sole. Mi si presenta, perciò, un altro riferimento pop, tratto di nuovo da un cartone animato, ovvero i Simpson. Nell’episodio Chi ha sparato al signor Burns?, l’odioso Monty Burns, proprietario di una centrale nucleare, per cercare di rendere sempre più alta la richiesta di energia elettrica della città di Springfield, progetta una sorta di gigantesco scudo metallico, che ricopre l’intero centro abitato, per oscurare il sole. A ben vedere, se si cambiano Springfield con New York, lo scudo coi grattacieli e il sig. Burns con i capitalisti statunitensi, il risultato non è poi così dissimile. In tal senso, l’edificazione dei grattacieli o la realizzazione di uno clipeo anti-sole, in una tragedia greca sarebbero stati senz’appello condannati come inequivocabili peccati di hybris umana; trasgressioni perverse di superba tracotanza nei confronti dell’ordine naturale e, quindi, puniti dagli dei in persona. Oggi, in questo pomeriggio notturno, scattiamo a loro delle fotografie. Ad ogni modo, mi pare che la punizione inflittaci sia altrettanto severa. Perché il paradosso si manifesta anche dalle prenotazioni al solarium, dalle lampade e dalle docce abbronzanti; dall’esodo verso le località assolate che, sotto alla disperata esposizione di melanina per prendere un po’ di colore, probabilmente nasconde anche la ricerca di un po’ di calore. Umano. Ne deriva che a Times Square, a causa della luce elettrica emanata generosamente dai pixel ultravioletti degli imponenti monitor, alla stregua di un solarium gratis a cielo aperto, fa decisamente più caldo ‒ ed è tutto molto più naturale ‒ di notte che nelle ore diurne.
Allo stesso modo, sembrano
decisamente naturali anche i pupazzi dei cartoni animati che vagano per i
marciapiedi di Broadway ad abbracciare turisti grandi e piccini, alla ricerca
di fotografie e caloroso feedback da parte del pubblico, in cambio di pacche
amichevoli, pose divertenti ed eterni sorrisi di peluche. Questi fantocci
colorati non hanno affatto bisogno di parlare giacché, al posto della loro
voce, alla gente comunica l’aurea che si crea intorno ad essi, l’insieme di
rimandi e riferimenti che è più comprensibile di qualsiasi delle frasi
registrate sulle schede di memoria dei loro modellini in scala. Quello che si
consuma sulla grande avenue è un esempio eclatante di narcisismo auto-pubblicitario,
un fenomeno sociale che, tra l’altro, impazza in questi anni zero governati dai
paparazzi, dove tutto ciò che conta è diventare famosi, celebri, popolari e
acquisire fama e visibilità mediatica. Non importa come e perché, ossia con
quali mezzi e per quale motivo particolare. In questo vortice propagandistico a
gossipparo sono stati risucchiati, senza eccezione alcuna, anche i personaggi
dei cartoon, rendendo perciò assai labile il confine tra attore in carne e ossa
e protagonista dei fumetti. L’unica differenza sta forse nel fatto che mentre
le star del cinema solitamente cercano di evitare i fotoreporter e insabbiare
scomodi scoop che potrebbero compromettere la loro reputazione nonché la
propria attività professionale (in realtà, come sapete, parecchie anteprime
sensazionali che finiscono sulle prime pagine dei rotocalchi scandalistici sono
vere e proprie messinscene, studiate ad hoc per accrescere, ad esempio, la
notorietà di una celebrità), i divi dei film d’animazione si offrono
spontaneamente ai flash accecanti dei fan più affezionati, affinché la loro
immagine di vip aumenti di valore. Non le case e i centri abitati, non gli
spazi e le porzioni di cibo, bensì le mascotte dei disegni animati sono a misura
d’uomo, al punto che è facile dimenticarsi che all’interno del costume è rinchiuso
pur sempre un essere umano. Nella jungla floreale di lampadine, faretti,
lampioni e riflettori, anche Topolino e i suoi simili antropomorfi fanno parte
della fauna urbana di New York. Cosicché, nel momento in cui si sente un suono
imprevisto proveniente dall’interno del pupazzo ‒ magari una lamentela per il
caldo insopportabile, lasciata scappare involontariamente dall’anima del
bambolotto; oppure una bestemmia automatica, azionata da un bimbo che ha
schiacciato altrettanto involontariamente l’alluce del suddetto macchinista ‒
ecco che la magia si frantuma in mille pezzi, tra lo stupore dei grandi e la
delusione dei piccini. Ma lo spettacolo più raccapricciante avviene quando le
comparse si levano il proprio travestimento, abbattendo del tutto la quarta
parete e mostrando agli spettatori nient’altro che la nudità del volto umano.
E’ percepito come un’esibizione erotica vera e propria, uno striptease osceno e
scostumato, uno spogliarello a luci rosse, da cui i genitori sono costretti ad
allontanare i figlioletti. Le maschere in pausa, a viso scoperto: ciò che resta
dopo lo show, indiscutibilmente più indecente. E mi chiedo in che modo una
società all’apice del processo democratico riesca, con successo, nel tentativo
di convincere i propri membri a truccarsi da Uomo-Pipistrello per esibirsi su
una strada pubblica, sopportando stoicamente ‒ come dei supereroi ‒ gli
scherni dei passanti, i lampi abbaglianti degli obbiettivi e le urla dei fan
d’immagini, consumatori di atmosfere.

Fotografie di Federica Boffa |
[1] Walt Disney
Studios IT, Il Re Leone 3D - “La lezione del mattino con Mufasa”,
online, http://www.youtube.com/watch?v=N7ywhuk0WWU
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