Tutta l’avidità
e la malvagità del mondo della finanza al tempo del capitalismo, inferno
luccicante e climatizzato dove è difficile riconoscere i buoni o i cattivi. Una
carrellata di figure ambigue e sfacciatamente trasformiste. Le bolle
finanziarie come simboli di un capitalismo sfrenato e vistosi bubboni di quella
CRISI economica che, diagnosticata più dettagliatamente, si scopre composta da
altre piccole crisi: politica, ecologica, religiosa, ecc. Accusa feroce di un
cittadino americano al liberalismo selvaggio statunitense, dominato da
speculatori insaziabili e piazzisti di borsa spudorati, il cui unico obbiettivo
è fare soldi. Beninteso, non tanto per il piacere della ricchezza in sé, quanto
piuttosto per il gusto della competizione, del rischio, dell’azzardo ‒ uno
sport estremo. Oliver Stone dipinge una selva di affaristi senza scrupoli e
broker privi di ideali, che hanno completamente smarrito un’etica, parassiti di
una società in contraddizione, ammalata dal cancro del business senza regole.
Micheal Douglas è fenomenale nei panni griffati del diabolico Gordon Gekko,
appena uscito di prigione ma ugualmente ipocrita e disonesto, prima di tutto
con se stesso. Un po’ troppo buonista il solito lieto fine hollywoodiano che
riaccende una tiepida luce di speranza sul futuro del pianeta Terra ‒ dopo
tanti fotogrammi immorali, un happy ending eccessivamente moralista.
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