Presentato al grande pubblico
come il “nuovo Avatar” (ma, rispetto a quest’ultimo, assai meno pubblicizzato -
non ho visto infatti code all’ingresso dei cinema per accaparrarsi il
biglietto), “Vita di Pi” lo supera di gran lunga sia per la forma sia
(ovviamente) per il contenuto. Un’opera grandiosa nel raccontare il tempo ampio
(una vita, per l’appunto) e i giganti spazi del mare aperto (in superficie e
nel profondo) attraverso sequenze memorabili che fanno di essa una pellicola
epica e raffinata, poetica e sublime. La tecnica del 3D è utilizzata con
parsimonia e l’effetto è alquanto suggestivo. L’intero film è un gioco di
specchi caleidoscopico e a tratti psichedelico - diamante frattale e
sfaccettato; una affascinante metafora a svariati livelli che, data la vasta
gamma di interpretazioni che offre, ha a che fare con l’ermeneutica e col
problema del rapporto verità/falsità del fatto (realismo, ontologia); infine una
finzione ricca di una prestigiosa simbologia che mischia sacro e profano, ragione
e assurdità, corpo e spirito, scienza e fede, zoologia, etologia e psicologia
umana in maniera straordinaria ed elementi religiosi provenienti dai diversi
credo che si fondono in un fecondo pastiche eclettico. La religione come metafora della vita, dai miti di Platone a Vita di Pi, passando per le favole.
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