Un film ben
fatto, non c’è che dire: una storia passionale e appassionata, ricca di scene
costruite perfettamente, retta da una sinossi densa e articolata in maniera organica,
per cui ogni pezzo è in funzione del tutto secondo un’armonia equilibrata e mai
noiosa. I personaggi, benché letterali, non sono mai fantastici o artificiali
e, inoltre, sono incarnati da attori professionali al massimo grado. Il centro
dell’opera è, come suggerisce il titolo, il grande tema della Libertà, trattato
nel luogo dove, per definizione, essa è preclusa, o meglio rinchiusa, cioè la
prigione. Da questo punto di vista il film è poetico e salvifico, quali
biblico, poiché ricco di messaggi evangelici pregni di ideali mai vuoti o
idealizzati ‒ elogio della speranza. Il regista attua una denuncia sociale
pungente contro il rigido e inflessibile sistema carcerario tradizionale,
mantenuto negli USA fino alle graduali riforme degli anni ’60 del Novecento. In
particolare, la vicenda si focalizza sui diritti dei carcerati e sulla loro
possibilità di reintegro nella società civile. Il messaggio più forte che
emette la pellicola è che la redenzione non sta nella lettura della Sacra
Bibbia, come crede il direttore del carcere, bensì nelle varie forme in cui la
libertà umana si esplica, ossia l’amicizia, la letteratura, la musica, ecc. In
aggiunta, il lungometraggio si schiera apertamente contro le speculazioni dei
potenti e il modello giudiziario americano che, il più delle volte, incrimina
senza prove valide e attendibili. In generale, si assiste all’aperta critica
nei confronti della coercizione fisica come sistema educativo e alla pedagogia
spicciola dei secondini. Un neo: i carcerati troppo mitizzati, dipinti come
persone buone a tutti i costi.
Nel periodo storico in cui l’Italia
è stata punita dall’Unione Europea per aver violati i diritti umani dei suoi
carcerati; sanzione che ha scatenato l’ennesimo sciopero della fame e della
sete dell’indomabile leone Marco Pannella per rilanciare la proposta di
amnistia. Voltaire, mi pare, diceva che un paese civile si giudica dalle
condizioni dei suoi detenuti nelle prigioni.
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