Gli amici sono
quelli che ci sono, non quelli che si scelgono. Prima di partire passo a
salutare alcuni amici, nella consueta vineria dove solitamente ci troviamo
nelle nostre serate provinciali. Come d’abitudine, si chiacchiera del più e del
meno, in quella tana i cui odori ci appaiono a volte nauseabondi, tanto li
abbiamo respirati. I cui medesimi clienti ci sembrano talmente assidui da
risultare invadenti, quasi facenti parte dell’arredamento interno, alla stregua
di un prolungamento delle sedie o del bancone. E spesso ci lamentiamo della
monotonia del locale, stufi delle stesse atmosfere che, oltretutto, nulla hanno
a che vedere con le immagini vintage di un bar margherita o di un bar mario
post-sessantottino. A tanti, dopo l’ennesima convocazione «21:30 in vineria», mossi
dall’aspirazione di una radicale svolta esistenziale, sarà venuto il desiderio,
a metà strada tra la rivincita sulla routine e la voglia di dimostrare agli
altri che se ne può tranquillamente fare a meno, di rispondere «Non ci sono.
Per un bel po’...». Salvo poi reciprocamente rivederci, puntuali, sbucare
all’angolo del viottolo e dirigersi, con lo guardo puntato sulla strada, verso
l’uscio del nostro rifugio antiatomico.
Informo loro sui dati del volo e
sulle ultime novità circa il mio viaggio, tra calcoli del fuso orario e
conversioni euro/dollaro. Dopodiché, è giunta l’ora di congedarmi e, molto
stranamente, durante il commiato, i miei amici già mi mancano. Abbastanza
inspiegabilmente ‒ dopotutto, sto per andare al centro del mondo! ‒, provo una
certa invidia per la serata (certamente mediocre) che trascorreranno senza di
me, cosicché una lieve riottosità a partire, causata dalla nostalgia di casa
(seppur ancora in casa...), mi infastidisce.
Sull’aereo realizzo che uno gli
amici non se li può mica scegliere. Perché sono come il proprio nome e il
proprio cognome, come il luogo d’origine e il giorno di nascita, come il codice
fiscale e il colore della pelle. Anzi, gli amici sono una sorta di seconda
pelle, che cresce insieme a noi con le cicatrici, i lividi e le carezze che la
vita ci riserva. Quelli che chiamiamo “migliori amici”, in realtà, non hanno
nulla di particolarmente migliore rispetto agli altri conoscenti.
Semplicemente, sono stati più presenti (fisicamente o in senso lato) durante la
nostra vita ‒ una pelle più aderente. Da ciò ne deriva che gli amici non sono
giusti né sbagliati, né buoni né cattivi; come le nuvole del cielo, sono.
Nonostante questo, sappiamo benissimo che le nuvole vanno e vengono, cambiano
forma e ‒ qualcuna anche prima del previsto ‒ spariscono. Allo stesso modo, la
pelle col passare del tempo si squama, si trasforma e, una volta morta, cade. Ovviamente,
noi possiamo intervenire attivamente in questo naturale processo biologico,
decidendo di avere cura della nostra epidermide rigenerando i tessuti, oppure
accelerando il loro decadimento per disfarcene volontariamente. Ma, prima della
presa di consapevolezza, prima dei giudizi morali, con gli amici dobbiamo necessariamente
conviverci, che ci piaccia o meno.
Nessun commento:
Posta un commento