venerdì 31 maggio 2013

Fast Food



Entro nel megastore di un noto marchio di confetti di cioccolato, dove la vendita dei dolciumi è l’ultima preoccupazione dei commessi. Infatti, si smerciano gadget di ogni tipo, riferiti alla coppia di bonbon che sponsorizza la casa produttrice, umanizzati per la causa con tanto di occhi, ciglia, bocca, voce, braccia, mani, guanti, gambe e persino scarpe da ginnastica. All’interno della bottega, tutto ‒ ma dico tutto ‒ è marchiato con le due iniziali dell’etichetta. Che distribuisce cioccolatini colorati. Salgo al piano superiore e capisco di trovarmi nel paese di cuccagna, quando i miei occhi sono incantati da una parete senza fine, composta da tubi trasparenti stracolmi di confetti, disposti secondo una minuziosa scala cromatica a sfumare. Ogni volta che un cliente spilla la quantità di prodotto che più gli aggrada, dall’alto del tubo magicamente ne scende altro, cosicché regni l’abbondanza e l’opulenza; basta azionare lo spillatore con una leggera pressione del pollice e una cascata di dolcetti pitturati trabocca nel proprio shopper.
            I tombini che fumano forse stanno per scoppiare.

Fotografia di Federica Boffa
Per un europeo cresciuto, secondo i riti di una famiglia di origini marcatamente contadine, con un certo riguardo per il momento del pasto, balza subito all’occhio la diffusa trascuratezza nei confronti del cibo dell’americano medio. Ne sono una prova la bancarelle ambulanti a ogni crocicchio, o i fast food attivi 24 ore su 24. In particolare, mi colpisce il fatto che, nella maggioranza dei casi, gli abitanti di New York non si riservino ore-pasti definite, dal momento che mangiano cosa capita in qualunque periodo del giorno e della notte, a seconda dei borborigmi dello stomaco. Il cibo è spesso un optional di sostentamento, slegato dai concetti di cucina, dieta e nutrizione in vista della mansioni della giornata. Mi viene da immaginare che, probabilmente, mai nessun ragazzino nuovaiorchese abbia disobbedito ai ripetuti richiami della mamma la quale, affacciata alla finestra, invocava a gran voce, per l’ennesima volta: «Il pranzo è pronto!!!». Il contraltare della situazione gastronomica appena descritta sono i numerosi ristoranti italiani, cinesi, giapponesi, polacchi, messicani, dove l’arte culinaria è professata in modo eccellente e con attenzione solenne. Sarebbe anche interessante conoscere dettagliatamente l’impatto ambientale, in termini di emissioni di CO2, che produce il consumo di carne bovina dei cittadini nordamericani.


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