giovedì 30 maggio 2013

Gran Torino - Clint Eastwood

Un film che, in primo luogo, fa ridere, come dimostrano, ad esempio, le scene all’interno del negozio del barbiere Martin, dove avvengono le relazioni “tra uomini”. In secondo luogo, commuove, giacché si segue l’evolversi della malattia di Walt, protagonista della storia, si assiste alla sua triste “vendetta” finale. In terzo luogo, esso fa riflettere, in modo particolare, sulla condizione degli anziani nella nostra epoca, reclusi in casa di cura; sul fenomeno dell’immigrazione, attualissimo nel mondo globalizzato; sull’universo giovanile in genere e sulle sue mode o tendenze omologanti; sul problema del bullismo; sul tema religioso; sulla globalizzazione. Interessante la dialettica vita/morte che inaugura il film in una delle prime scena, in cui a casa di Walt si celebra il funerale della moglie, mentre i suoi vicini di casa “orientali” festeggiano un battesimo. Per una vita che entra nel mondo, un’altra se ne va, secondo il naturale ciclo biologico; argomento che ritorno anche nelle confessioni tra il vecchio Walt e il giovane pastore irlandese. La Gran Torino serve per paragonare metaforicamente l’anziano messo in disparte, abbandonato e rimpiazzato da nuovi modelli ‒ un gioiellino d’altri tempi. Come al solito, Eastwood non si lascia trarre in inganno dall’ipocrisia moralista o dal politically correct posticcio. Questo suo atteggiamento crudo e diretto è tradotto nel film, un’opera grezza e sincera, autentica.


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