venerdì 31 maggio 2013

L'hinterland del PIL


Durante il volo transcontinentale, mi torna in mente la frase con cui inizia Tristi Tropici di Lévi-Staruss: «Odio i viaggi e tutti i viaggiatori». Odio i viaggi e tutti i viaggiatori, detto da un habitué delle esplorazioni. Sono sicuramente parole forti, che fanno riflettere circa la concezione moderna del “viaggio”, ossia la vacanza borghese del turista che visita i monumenti e i posti caratteristici di una determinata località. Ma le cartoline smerciate nei punti vendita di souvenir non raffigurano le contraddizioni delle città; i ciceroni non ci dicono nulla sulle reali condizioni di vita di tutti gli abitanti del luogo; le guide stampate riportano precise informazioni storiche, senza fare riferimento alla cronaca sulle cui vicissitudini ha preso forma la comunità. Parimenti, nei ristoranti tipici quasi mai si mangiano le pietanze davvero cucinate presso la gente locale; all’interno dei musei non c’è posto per l’arte autentica, per la cultura invisibile; i punti panoramici segnalati sulle cartine, così come le riserve naturali che ospitano le bellezze faunistiche e floreali indigene, sono stati accuratamente ripuliti dalle scorie residuali che, altrimenti, li incrosterebbero. All’occhio del turista, d’altronde, tutto deve apparire bello, pulito, caratteristico, degno di una fotografia: una scenografia tanto verosimile, asettica, spettacolare quanto artificiosa, surreale, parziale.

            Così mi domando, ad esempio, che impatto avranno sul cambiamento climatico mondiale le emissioni generate dal motore dell’aeroplano su cui sto volando. Mi chiedo quale sarà la quantità di rifiuti inorganici che i passeggeri di un volo come questo producono e, inoltre, dove finirà tutta la spazzatura prodotta. Mentre le hostess passano tra il ristretto corridoio tra le file a raccattare l’immondizia, noto che la raccolta differenziata non è praticata e, forse, nemmeno possibile in tale contesto. Faccio una media dei voli nazionali giornalieri, sommandoli a quelli internazionali; moltiplico per il numero dei passeggeri di ciascun volo e ho un vuoto d’aria. E non per colpa del pilota. In aggiunta, osservo con pungente amarezza che le pattumiere sono colme di cibo avanzato, constatandone l’ingente spreco. Provo poi a contare quante posate usa e getta sono state buttate via, quanti bicchierini in plastica; quanti involucri, confezioni, vaschette, mini-imballaggi che, se non riciclati, intaseranno le discariche suburbane o formeranno nuove sudice isolette, magari proprio in mezzo all’oceano che ora sto sorvolando.

            Le periferie sono uguali in tutto il mondo. Anzi, si può dire che vi é un’unica periferia mondiale, l’hinterland del PIL, al confine della società dei consumi[1], fatta degli scarti di quest’ultima. Allora i viaggi potrebbero servirmi proprio per scovare in presa diretta quegli elementi negativi dei luoghi visitati. Il viaggio critico...un’incoerenza?

Curioso segnale di divieto nella sala fumatori dell'aeroporto


[1] In realtà, come ragiona Zygmunt Bauman in Consumo, dunque sono, sarebbe più corretto parlare di società dei consumatori o dei consumismi, giacché ogni società umana e, più in generale, ogni comunità vivente, genera inevitabilmente dei consumi. Così Bauman: «In effetti il consumo, se ridotto alla sua forma essenziale del ciclo metabolico di ingestione, digestione ed escrezione, è una condizione e un aspetto permanente e ineliminabile della vita svincolato dal tempo e dalla storia, un elemento inseparabile dalla sopravvivenza biologica che gli esseri umani condividono con tutti gli altri organismi viventi» (Bauman, 2007, trad. it. di M. Cupellaro).

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