giovedì 30 maggio 2013

Le ali della libertà - Frank Darabont

Un film ben fatto, non c’è che dire: una storia passionale e appassionata, ricca di scene costruite perfettamente, retta da una sinossi densa e articolata in maniera organica, per cui ogni pezzo è in funzione del tutto secondo un’armonia equilibrata e mai noiosa. I personaggi, benché letterali, non sono mai fantastici o artificiali e, inoltre, sono incarnati da attori professionali al massimo grado. Il centro dell’opera è, come suggerisce il titolo, il grande tema della Libertà, trattato nel luogo dove, per definizione, essa è preclusa, o meglio rinchiusa, cioè la prigione. Da questo punto di vista il film è poetico e salvifico, quali biblico, poiché ricco di messaggi evangelici pregni di ideali mai vuoti o idealizzati ‒ elogio della speranza. Il regista attua una denuncia sociale pungente contro il rigido e inflessibile sistema carcerario tradizionale, mantenuto negli USA fino alle graduali riforme degli anni ’60 del Novecento. In particolare, la vicenda si focalizza sui diritti dei carcerati e sulla loro possibilità di reintegro nella società civile. Il messaggio più forte che emette la pellicola è che la redenzione non sta nella lettura della Sacra Bibbia, come crede il direttore del carcere, bensì nelle varie forme in cui la libertà umana si esplica, ossia l’amicizia, la letteratura, la musica, ecc. In aggiunta, il lungometraggio si schiera apertamente contro le speculazioni dei potenti e il modello giudiziario americano che, il più delle volte, incrimina senza prove valide e attendibili. In generale, si assiste all’aperta critica nei confronti della coercizione fisica come sistema educativo e alla pedagogia spicciola dei secondini. Un neo: i carcerati troppo mitizzati, dipinti come persone buone a tutti i costi.

            Nel periodo storico in cui l’Italia è stata punita dall’Unione Europea per aver violati i diritti umani dei suoi carcerati; sanzione che ha scatenato l’ennesimo sciopero della fame e della sete dell’indomabile leone Marco Pannella per rilanciare la proposta di amnistia. Voltaire, mi pare, diceva che un paese civile si giudica dalle condizioni dei suoi detenuti nelle prigioni.


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